Road to decarbonisationCosa frena la corsa italiana all’idrogeno verde

Una fonte di energia a partire dall’elemento di cui sono fatte le stelle. Quello che molti definiscono “oro verde” è un carburante praticamente inesauribile, ma stenta a diffondersi perché mancano gli investimenti allo sviluppo delle necessarie tecnologie. I nuovi finanziamenti della Commissione europea sembrano però segnare una svolta

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Il ruolo dell’idrogeno verde nella transizione ecologica fino a oggi è stato praticamente inesistente, ma le cose sembrano destinate a cambiare. Negli scorsi giorni la Commissione europea, presentando un nuovo progetto di interesse comune (noto come Ipcei), ha approvato 5,2 miliardi di euro di finanziamenti pubblici destinati a 13 Stati dell’Unione europea, Italia inclusa, con l’obiettivo di rafforzare anche la fornitura di questo vettore di energia green che si ricava da fonti rinnovabili. L’Europa non è l’unica ad avere deciso di investire su questo “oro verde”, che secondo gli analisti potrebbe soddisfare il 24 per cento della domanda energetica mondiale entro il 2050. La Cina, che è il primo produttore al mondo di idrogeno grigio (ricavato da combustibili fossili), punta al passaggio all’idrogeno verde entro il 2060. Anche Australia e Oman stanno investendo in nuovi impianti per l’idrogeno rinnovabile.

In Italia il tema dell’idrogeno è stato nei piani del governo Draghi, ma non è al centro del dibattito pubblico e non lo è stato nemmeno in campagna elettorale. Nei rispettivi programmi, Azione e Italia Viva indicavano di voler incentivare lo sviluppo dell’idrogeno; la Lega specificava l’intenzione di favorire «nel breve-medio termine» l’idrogeno blu, in attesa «che maturi la tecnologia che consenta un uso esteso a condizioni competitive dell’idrogeno verde»; il Movimento 5 Stelle insisteva sul privilegiare l’idrogeno a zero emissioni.

Cos’è e come si produce l’idrogeno
L’idrogeno è una fonte di energia secondaria: mentre le fonti primarie si trovano disponibili in natura (gas naturale, sole, petrolio, vento…), quelle secondarie vanno prodotte a partire dalle primarie. L’atomo di idrogeno è l’elemento chimico più diffuso nell’universo e sulla Terra, ma quando parliamo dell’idrogeno impiegato a scopi energetici, pur usando lo stesso nome, ci riferiamo a un gas incolore e inodore composto da due atomi di idrogeno: molto reattivo, ma va prodotto a partire da altre fonti, come ad esempio i combustibili fossili o l’acqua, i quali a determinate condizioni possono decomporsi generando idrogeno.

Oltre il 90 per cento dell’idrogeno oggi usato proviene da processi basati sui combustibili fossili, ovvero carbone o reazione di reforming del metano: il risultato è chiamato idrogeno grigio, che ha costi molto bassi ma comporta emissioni elevate di CO2. L’idrogeno blu si ricava sempre da idrocarburi fossili ma, a differenza dei casi citati, la CO2 che risulta dal processo viene catturata e immagazzinata, non liberata nell’atmosfera. L’idrogeno si può però anche ottenere dall’acqua, ed è qui che la questione diventa particolarmente interessante nell’ottica di riduzione delle emissioni. Il processo necessario alla produzione in questo caso è chiamato elettrolisi: semplificando, consiste nel separare la molecola dell’acqua nei suoi componenti semplici, ovvero due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Per riuscirci, serve molta energia: se questa proviene dal nucleare si parla di idrogeno viola, se viene da fonti di energia rinnovabile si parla di idrogeno verde, idrogeno rinnovabile o a zero emissioni.

In quale direzione va l’Europa
Il nuovo progetto di interesse comune già autorizzato dalla Commissione europea, che vale 5,2 miliardi di euro da fondi pubblici – cui ne aggiungeranno altri 7 da fondi privati – punta a incentivare la fornitura sia di idrogeno verde, sia di idrogeno blu e coinvolge 35 iniziative, 29 società e 13 Paesi. Tra le aziende interessate, le italiane sono NextChem, RINA-CSM, SardHy Green Hydrogen e South Italy Green Hydrogen. Già lo scorso luglio la Commissione europea, con il progetto di interesse comune Hy2Tech, aveva sbloccato dei fondi pubblici per promuovere lo sviluppo e la distribuzione dell’idrogeno, con un focus sul settore della mobilità.

Con il nuovo Ipcei, l’attenzione si sposta sulle infrastrutture e sull’industria, inclusa la decarbonizzazione della produzione di cemento, vetro e acciaio. Stando a quanto dichiarato alla stampa dalla commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, i fondi pubblici appena approvati saranno investiti per costruire una nuova capacità di elettrolisi da 3,5 gigawatt in grado di produrre ogni anno 340mila tonnellate di idrogeno. Il termine temporale è il 2036, ma i primi progetti potrebbero vedere la luce già entro il 2026. La volontà europea di puntare sul mercato dell’idrogeno è emersa anche in un recente discorso della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha annunciato la creazione di una “banca per l’idrogeno”, che servirà a garantire ai produttori un prezzo minimo di acquisto.

Le potenzialità dell’idrogeno verde
In un’ottica di riduzione delle emissioni di CO2, «l’idrogeno risulterebbe la migliore scelta per alcune applicazioni», commenta Andrea Bombardi, vice presidente di Rina, gruppo multinazionale che opera nei settori energia, mobilità, certificazione, immobiliare, infrastrutture e navigazione. Secondo i dati del Politecnico di Milano, la domanda di idrogeno in Europa oggi è di circa 8,4 milioni di tonnellate all’anno. L’Italia, il quinto Paese europeo per consumo, ne usa 0,6 milioni di tonnellate: oltre il 70 per cento di questa domanda viene dal settore della raffinazione.

«Benzine, diesel e tutti i prodotti della colonna di raffinazione vengono prodotti usando idrogeno. Se già sostituissimo questo idrogeno grigio con idrogeno verde, ad esempio, o con idrogeno blu, otterremmo dei combustibili con un’impronta carbonica inferiore», prosegue Bombardi.

«Ci sono poi processi che utilizzano il gas come combustibile: è il caso delle industrie che hanno bisogno di creare uno shock termico, come quelle dell’acciaio, del vetro, della ceramica. Oggi l’elettrico non consente di ottenere questo aumento repentino della temperatura. Se vogliamo sostituire il gas con un altro combustibile, o usiamo il gas catturando la CO2 oppure la soluzione è l’idrogeno a zero emissioni».

C’è poi il grande tema della mobilità. «In Italia abbiamo 5500 km di linee ferroviarie non elettrificate, su cui viaggiano i treni Diesel. Elettrificarle costerebbe molto, mentre sostituire i treni Diesel con treni a idrogeno non richiederebbe alcun intervento aggiuntivo sulle infrastrutture già esistenti». I treni a idrogeno prodotti dalla Alstom, che dovrebbero essere pronti per viaggiare in Valcamonica tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, «con un pieno di idrogeno fanno 1167 km, dunque le prestazioni sono interessanti».

L’idrogeno a zero emissioni potrebbe essere usato – con celle a combustile o in motori a combustione interna – anche per ridurre le emissioni dei camion, ma è forse la decarbonizzazione del trasporto aereo e marittimo a rappresentare la sfida più ambiziosa. Le industrie aerospaziali stanno già lavorando su questo fronte: l’olandese Fokker, ad esempio, punta a far partire il primo volo commerciale a idrogeno entro il 2028. L’aereo in questione dovrebbe avere 40-80 passeggeri e viaggiare tra Rotterdam e Londra.

«Su un volo a corto raggio si può fare, ma su un volo intercontinentale oggi non sarebbe possibile. L’idrogeno ha una densità volumetrica molto bassa rispetto ai combustibili fossili; quindi, bisognerebbe stoccarne una quantità molto importante a bordo di un aereo o una nave che deve fare un lungo tragitto. Bisogna anche pensare alle infrastrutture: una nave a idrogeno dovrebbe trovare in ogni porto una stazione di rifornimento, ma oggi non è ancora così».

Se si impiegano celle a combustibile, l’efficienza dell’idrogeno è elevata (70-80 per cento). La produzione per elettrolisi comporta una perdita di energia del 20%, a cui si somma un ulteriore 20-30 per cento se l’idrogeno viene accumulato, trasportato in pressione e trasformato di nuovo. «L’efficienza dell’idrogeno è un tema da mettere sul piatto, e la tecnologia aiuterà ad aumentarla, ma io non la vedo come un ostacolo. Oggi dobbiamo pensare a soluzioni più sostenibili, che nel breve possiamo pagare anche in termini di efficienza», commenta Bombardi.

Serve un mercato globale
Cosa frena la diffusione dell’idrogeno verde, in Italia e fuori? Un primo punto da considerare probabilmente è il prezzo, che per ora è ancora più elevato rispetto a quello dell’idrogeno grigio. Ma con la crescita e la globalizzazione del mercato, anche grazie agli investimenti pubblici e privati, questo aspetto dovrebbe riequilibrarsi. Si stima che entro cinque anni il mercato dell’idrogeno verde arriverà a valere 400 miliardi di dollari all’anno, diventando competitivo con l’idrogeno grigio.

Anche il decreto approvato dal ministero della Transizione ecologica il 21 settembre, che esenta l’idrogeno verde dagli oneri di sistema, è un passo verso la maggiore sostenibilità economica della filiera. Ciò che in Italia, secondo Bombardi, forse sta fungendo da freno «è il pensare di poter fare idrogeno locale usando le rinnovabili locali». Per produrre idrogeno verde serve infatti energia da fonti rinnovabili, ma nel 2019 il nostro Paese ha prodotto “solo” il 16,3 per cento dell’energia da idroelettrico, solare, eolico, geotermico e bioenergia.

«L’orografia del nostro territorio e i procedimenti autorizzativi oggi non stanno consentendo uno sviluppo delle rinnovabili tale da coprire già il consumo dell’energia elettrica», prosegue Bombardi. «Per questo non potremo fare tutto l’idrogeno verde in Italia, ma avremo bisogno di importarlo da Paesi dove l’energia elettrica costa molto meno e, dunque, dove potremo avere idrogeno verde più competitivo e prodotto in quantità importanti. La Germania, ad esempio, si è già mossa stringendo accordi con la Namibia, il Marocco, il Cile e il Canada».

La via italiana verso il mercato dell’idrogeno verde, insomma, non può prescindere dal continuo investimento sulla tecnologia e soprattutto dalla creazione di infrastrutture adeguate: terminali di importazione dell’idrogeno, in primis, ma anche stazioni che consentano il rifornimento ai camion, alle navi, eccetera.

Snam, società di infrastrutture energetiche, insieme ad altri operatori europei si sta già adoperando per capire quanto idrogeno sarebbe possibile trasportare nelle infrastrutture esistenti. «In Germania ci sono già più di cento stazioni di rifornimento di idrogeno, in Italia ce ne sono due. Ma saranno di più in futuro: sulla Milano-Serravalle ne sono in programma cinque, ad esempio, anche grazie ai finanziamenti del Pnrr», dice l’esperto.

Fuori da questo tracciato che punta a un mercato globale dell’idrogeno verde, secondo Bombardi non c’è molto altro: «La produzione di biometano potrà coprire all’incirca il 10% del metano che oggi consumiamo. Ci sono poi i biocarburanti che avranno un ruolo nella transizione energetica. Ma una consistente fetta della torta è destinata all’idrogeno verde, che è una soluzione interessantissima per alcune applicazioni, inclusa l’industria chimica e petrolchimica, e avrà sicuramente un ruolo nella decarbonizzazione».

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