Sola allo sbandoPer tenere in vita il governo britannico Liz Truss dovrà imparare a mediare tra le correnti del partito

Al congresso dei conservatori la prima ministra insiste sulle sue posizioni economiche, ma sa di doversi preparare allo scontro interno. La sua reputazione è a picco e ci vorranno polso e doti di mediazione per dialogare con tutte le voci del mondo Tory: continuare dritta per la sua strada come una novella Thatcher potrebbe risultarle fatale

LaPresse

«Crescere, crescere, crescere». Con questo mantra quasi ossessivo Liz Truss chiude il Congresso del partito conservatore inglese a Birmingham. Segno che la politica del governo non ha subito una vera e propria inversione di rotta, ma solo dei piccoli aggiustamenti. Truss infatti ha continuato a perorare la sua visione economica che comprende un netto taglio delle tasse a deficit e deregolamentazioni nel settore pubblico e finanziario.

Sulla decisione di ritirare la misura più controversa del prossimo pacchetto di misure, quella dell’aliquota aggiuntiva per i redditi oltre le 150 mila sterline, invece ha detto: «Ho capito e ho ascoltato», mostrando una certa apertura verso le pesanti critiche che gli erano state mosse persino dai membri del suo stesso partito.

Non è un segreto, infatti, che i Tories siano da tempo in crisi. Dopo 12 anni consecutivi al potere, e ben 4 governi, il partito è frammentato e in perenne discussione. Ma il vaso di Pandora era stato platealmente scoperchiato proprio dopo l’imbarazzante dietrofront compiuto da Downing Street su alcune misure dell’ampio pacchetto fiscale da 45 miliardi di sterline, voluto proprio per rilanciare l’economia del Paese.

La misura, che aveva scatenato persino il rimprovero del Fondo monetario internazionale, era stata ritirata perché l’esecutivo era sicuro che non avrebbe raggiunto l’approvazione in Parlamento, a causa anche del fuoco incrociato degli stessi compagni di partito. 

Numerosi Tories – tra cui gli ex ministri del governo Johnson, Michael Gove e Grant Shapps – infatti si erano detti preoccupati dell’impopolarità di un grande taglio delle tasse ai più ricchi, proprio nel momento in cui le famiglie britanniche stanno affrontando eccezionali rincari delle bollette e l’inflazione più alta da 40 anni. 

Per giorni, Truss e il suo governo avevano però resistito alle pressioni interne ed esterne continuando a difendere il piano. Ancora domenica, nel corso del primo giorno della conferenza del Partito, il ministro del tesoro Kwarteng aveva sostenuto la bontà della misura. «Dobbiamo tenere la barra dritta – aveva detto –. Resto sicuro che il nostro piano sia quello giusto». Così però non è stato.

Poi Truss aveva cominciato a serrare i ranghi dei suoi, comunicando ai media che la decisione di annullare il taglio delle tasse è stata motivata dalla genuina convinzione che la lite stesse distraendo dal messaggio economico generale del governo. «Stava oscurando tutto ciò che stavamo cercando di trasmettere sull’essere un’economia in forte crescita, i tagli fiscali rappresentavano solo l’1% del pacchetto totale di spesa», riporta il Guardian. La premier ha scelto così una ritirata parziale per riprendere fiato: e provare a convincere i suoi e il Paese della bontà della sua strategia sul lungo termine.

Ma la preoccupazione tra i parlamentari conservatori è che il danno sia già stato fatto e che l’elettorato punirà pesantemente Truss e i Tories alle prossime elezioni. Gli attuali sondaggi appaiono come un oscuro presagio: il partito è sceso di ben 33 punti dietro ai Laburisti trainati dal loro leader Keir Starmer. 

La faccenda si fa complicata, trovare un modo per ricompattare il partito e risalire nei sondaggi sembra essere una sfida quasi impossibile per Truss, tanto che secondo Lee Cain, responsabile della comunicazione dell’ex primo ministro Johnson, «è improbabile che ora la sua reputazione si riprenda». 

Ma una prima resa dei conti è già dietro l’angolo, quando il Parlamento si riunirà di nuovo l’11 ottobre, la Truss potrà avere cognizione della tenuta del suo governo misurandola sulla difficoltà con cui farà passare il suo pacchetto di leggi o, come lo ha definito il ministro degli Esteri James Caverly, «la medicina amara che non piace alla gente, ma che farà del bene al Paese». 

Le fila della fronda interna si moltiplicano, lo si è visto al Congresso del partito che, in verità, pareva più un assedio alla premier. Questa frammentazione dovuta anche al fatto che il rapido ricambio dei leader Tories negli ultimi anni ha lasciato un’eredità di ex ministri ognuno dei quali ha una diversa ricetta per ricondurre il partito sulla buona strada. 

Vicino alla Truss resta l’ala destra del partito, tra cui Jacob Rees-Mogg, ministro per le Imprese e l’Energia. Pur essendo favorevole alla politica economica del primo ministro, la fazione si è infastidita perché Kwasi Kwarteng ha portato avanti una misura così impopolare quando si sapeva non avrebbe mai attecchito in parlamento. Il supporto di questa corrente è un tassello inamovibile per la tenuta dell’attuale governo.

Le critiche più forti arrivano invece da chi avrebbe preferito l’approccio economico più cauto di Rishi Sunak, l’avversario della Truss nella corsa per la leadership del partito. I ribelli del partito hanno definito la politica di Truss «disconnessa dalla realtà» e sono fiduciosi che il governo non abbia abbastanza sostegno per spingere i grandi tagli alla spesa ai dipartimenti della Difesa o al sistema di Welfare.

Anche tra i più fedeli a Boris Johnson cresce il dissenso. Nadine Dorries in due recenti tweet, ha confermato la sua opinione secondo cui, se Truss vuole voltare le spalle al programma economico di Johnson, ha bisogno di «un nuovo mandato», riferendosi chiaramente a una nuova elezione.

Tobias Ellwood, il presidente del comitato ristretto della Difesa dei Comuni, è una voce molto ascoltata, dall’ala di centro del partito. Ellwood nel suo discorso al congresso ha esortato il Primo ministro a mostrare più umiltà e riconoscere che «sono stati commessi alcuni gravi errori». Poi, come riportato dal Guardian, ha detto: «La Truss ha bisogno di essere più inclusiva, più aperta e trasparente su dove vuole condurre la Gran Bretagna, confermando la responsabilità fiscale come il segno distintivo del nostro partito». Ellwood comunque ha esortato i conservatori moderati a non abbandonare la nave, suggerendo che Liz Truss abbia tempo fino a Natale per ribaltare la sua travagliata premiership

Una delle fazioni più chiaramente definite all’interno del Partito conservatore, è il gruppo One Nation che comprende i ministri del gabinetto Robert Buckland, Chloe Smith e Tom Tugendhat ed è presieduto da Damian Green, che era il vice de facto di Theresa May.

Circa 30 parlamentari fanno attualmente parte di questo gruppo, che rappresenta l’ala moderata e centrista del partito e potrà fare da freno a mano su alcune delle politiche più radicali del Primo ministro, come l’ampliamento del piano contro l’immigrazione illegale e la deregolamentazione nei settori dell’agricoltura e della finanza

Guidati dal Presidente del partito Jake Berry, i parlamentari conservatori negli ex seggi del Red Wall Labour (il blocco di collegi nella Midlands e nel Galles nord-orientale che storicamente erano fortini del partito laburista) sono tra i più convinti che le politiche della Truss porteranno ad una vittoria dei Labour alle prossime elezioni generali, perché temono che i Conservatori abbiano perso il sostegno della working class.

Specie dopo la decisione del governo di non aumentare gli stipendi più colpiti dall’inflazione come era stato deciso da Johnson. Alcuni parlamentari di questo gruppo potrebbero decidere di astenersi dai voti chiave, o addirittura di opporsi, per placare il proprio elettorato di riferimento. 

La domanda che in molti si pongono a questo punto è se la Truss farà mai pace col fantasma della Thatcher perché se il Paese non può più accettare una politica economica come fu quella della «Lady di ferro», ha però ancora bisogno di quel tipo di tempra morale. Ci vorrà grande polso e doti da mediatrice per gestire tutte le mani che la tirano per la giacchetta. Continuare dritta procedendo con i paraocchi potrebbe risultarle fatale. 

L’unico modo che ha per resistere alle sferzate del fronte interno sarà quello di mantenere unito un partito polimorfo, che si rifà a una tradizione condivisa, quella del liberalismo conservatore, ma che in realtà da anni sfoggia una unità solo di facciata. Trovare un minimo comun denominatore a questo puzzle di opinioni è urgente. D’altronde, come diceva Churchill, anche l’acqua che si insinua in ogni pertugio finisce poi per convergere sempre in un unico punto: il canale di scolo. 

 

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