La Camera ha un nuovo presidente: Lorenzo Fontana, conosciuto per le sue posizioni filorusse e omofobe. Dopo il 24 febbraio, il leghista ha dovuto puntare sul low profile, visto un passato fitto di uscite che definire «controverse» è un eufemismo. Invitato come osservatore al referendum con cui Putin s’è annessa la Crimea nel 2014, antesignano di quelli fasulli nel Donbas, la sua Verona ha ospitato l’ambasciata della repubblica secessionista di Donec’k. Assieme al collega di partito Simone Pillon, ha ostentato una difesa della famiglia tradizionale che, nei toni, sfocia nella negazione dei diritti Lgbt.
Bastava la maggioranza secca, a quota 201, ma il centrodestra poteva contare su 237 deputati. Il vicesegretario federale della Lega, di fatto il numero due di Matteo Salvini, alla fine ha ricevuto 222 voti. Manca all’appello qualcuno tra le truppe della coalizione. Le schede bianche sono 6, quelle nulle 11.
Ha tenuto l’unità della coalizione, dopo la maretta al Senato, che non aveva comunque compromesso l’obiettivo, con Ignazio La Russa eletto agevolmente – e al primo colpo – seconda carica dello Stato con 116 preferenze. Da allora, si è aperta la caccia ai «franchi tiratori» confluiti sull’ex ministro della Difesa dall’opposizione, forse in cambio di promesse (la presidenza di una commissione? una vicepresidenza dell’aula?) che è presto per misurare.
Il voto e la tregua nel centrodestra
Dopo i tre giri a vuoto di ieri, si riempie anche la casella dello scranno più alto di Montecitorio. La coalizione ha ostentato la ritrovata compattezza. Stamattina il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, twittava il sostegno alla candidatura di Fontana, che ha scalzato il favorito della vigilia, il capogruppo Riccardo Molinari. La Lega viene premiata per la fedeltà mostrata al Senato, con la rinuncia di Roberto Calderoli. Un “aziendalismo” reso più evidente dalla defezione degli azzurri.
Dopo i pugni sul banco di Silvio Berlusconi, insomma, gli alleati si sforzano di dare una prova di coesione. Dietro la concordia di facciata, continuano però le trattative per la squadra di governo. Forza Italia reclama «ministeri di peso», Matteo Salvini cercherà di passare alla riscossione per la sua buona condotta. Un incasso che, per i leghisti, dovrebbe tradursi in una vittoria ai punti sui forzisti nel numero di dicasteri assegnati.
«Dopo La Russa al Senato la destra alla Camera propone Fontana. Hanno scambiato l’elezione della seconda e della terza carica dello Stato per una gara di estremismo» ha twittato il vicesegretario del Pd, Peppe Provenzano. A Palazzo Madama, prima delle votazioni, i dem hanno esposto uno striscione con scritto «No a un presidente omofobo e Pro Putin». In effetti, era difficile andare più a destra di così.
Il centrosinistra – oltre al Pd, +Europa e Sinistra Italiana-Verdi – si è compattato, invano, sul nome di Cecilia Guerra (a 77 voti a scrutinio concluso). Il Terzo Polo, invece, ha sostenuto Matteo Richetti (22). Dopo una battuta scadente («Guerra? Noi siamo per la pace»), il presidente cinquestelle Giuseppe Conte ha indicato ai pentastellati l’ex procuratore nazionale antimafia, Cafiero De Raho (52).
Il curriculum di Fontana
Lorenzo Fontana è noto per le sue posizioni cattoliche ultraconservatrici, oltre che per diverse dichiarazioni e azioni volte a sostenere il regime di Vladimir Putin in aperto contrasto con la linea dell’Unione Europea. Fontana è stato ministro per la Famiglia e le Disabilità dal 1º giugno 2018 al 10 luglio 2019 e poi ministro per gli Affari europei dal 10 luglio al 5 settembre 2019 nel governo Conte I. Eurodeputato dal 2009 al 2018, dal 29 marzo fino alla sua nomina da ministro è stato anche vicepresidente della Camera dei deputati.
È dichiaratamente contrario all’aborto, alle unioni civili e al matrimonio tra persone dello stesso sesso. La sua attività politica è stata sempre incentrata al contrasto della cosiddetta “teoria gender”, con importanti sforzi profusi a difendere le radici cristiane dell’Europa. Matrimoni gay e teoria gender, insieme all’immigrazione di massa, secondo Fontana «mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni», come dichiarò in un convegno dell’associazione Pro Vita Onlus.
Lo scorso marzo ha partecipato al congresso delle Famiglie di Verona, di cui era uno dei promotori e relatori, affermando la necessità di uno stato che assista le donne tramite incentivi e bonus per la natalità al fine di non farle abortire.
Per quanto riguarda la Russia, durante la sua prima conferenza stampa da ministro degli Affari europei definì le indagini sui finanziamenti alla Lega da parte della Federazione come «una cosa ridicola» dicendo di voler riavvicinare Usa e Russia «perché la Russia è parte dell’Europa». Affermò di voler togliere le sanzioni in quanto avrebbe favorito «una ripresa del commercio internazionale», sostenendo successivamente che questo non significa necessariamente «essere dalla parte della Russia» e dicendo che la posizione della Lega sulla guerra in Ucraina è «quella della Nato».
Ma si ricorda il suo invito nel 2014, da parte della Russia, a presenziare al referendum sull’annessione della Crimea in qualità di osservatore dell’Unione Europea, assieme ad alcuni esponenti della Lega Nord e di altri partiti indipendentisti o contrari all’immigrazione, come i francesi del Front National e gli austriaci del Fpo. Fontana all’epoca era europarlamentare, precisamente capogruppo della Lega Nord al Parlamento Europeo e membro della commissione Affari Esteri, ed era stato invitato direttamente dall’ambasciatore russo Alexei Komov.
In un video del 2016 Fontana definì «amici» i componenti del partito neonazista greco Alba Dorata, dichiarato nel 2020 «organizzazione criminale» da parte del tribunale di Atene. Ma le dichiarazioni controverse non finiscono qui. Fabio Chiusi su Twitter ne riporta diverse: dall’Unione Europea che non capisce «la volontà di un popolo» in merito alla vittoria schiacciante del partito di Putin alle elezioni regionali in Crimea, nel 2014, all’invito a «fare attenzione» alle sanzioni alla Russia ancora dieci giorni prima dell’invasione dell’Ucraina da parte del regime di Putin; dalla Lega definita «cerniera tra Trump e Putin» nel 2018 alla «esigenza di un ideale identitario» interpretata dagli estremisti di destra tedeschi dell’Afd.