Primo giorno da ministro dell’Interno. E prima clamorosa decisione di Matteo Piantedosi: le due navi umanitarie che hanno salvato oltre 300 migranti nel mare tra Libia e Malta, la «Ocean Viking» battente bandiera tedesca e la «Humanity 1» con bandiera norvegese, per il nuovo titolare del Viminale devono essere fermate. In una direttiva spiega che sono fuorilegge, «non in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale». Ecco perché sta valutando di emettere un «divieto» di ingresso nelle acque territoriali italiane. «Le operazioni di soccorso sono state svolte in modo sistematico in area Sar di Libia e Malta, informate solo a operazioni avvenute», si legge.
Il governo tramite la Farnesina ha coinvolto le ambasciate di Germania e Norvegia. E il neo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, conferma: «Richiamiamo tutti al rispetto delle regole. Quello è territorio tedesco e norvegese».
«Non intendo abbandonarmi alla rassegnazione», dice Piantedosi in un colloquio con La Stampa. «Ho voluto battere un colpo per riaffermare un principio: la responsabilità degli Stati di bandiera di una nave. Ero vicecapo di gabinetto ai tempi di Maroni e fummo condannati dalla Corte di Strasburgo per illecito respingimento. Il famoso caso Hirsi. L’intera sentenza ruotava attorno al principio che se un migrante sale su una nave in acque internazionali, tutto il resto è responsabilità del Paese di bandiera. Questo principio vale solo per l’Italia e non per Germania e Norvegia?» .
Piuttosto che rimettere mano ai decreti Salvini, Piantedosi riparte quindi dalla Convenzione del mare e quel passaggio sulla libertà di movimento di una nave «fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero».
Si ricomincia, insomma. Ci provò già il governo Conte uno con Matteo Salvini al Viminale, che ha subito applaudito la mossa di Piantedosi. Ora ritenta il governo Meloni. Il neo ministro non si illude di vincerla alla prima mossa. «Peraltro gli sbarchi non dipendono solo dalle Ong», dice. «Però è anche vero, pur se negano, che queste navi umanitarie sono un fattore di attrazione per i migranti, il cosiddetto “pull factor”. In Europa lo sanno tutti; se ne parlava apertamente quando andavo alle riunioni di Bruxelles da vicecapo della polizia».
Piantedosi sa che la partita sarà lunga e complessa. Giorgia Meloni alla Camera ha spiegato che vuole arrivare al fatidico blocco navale da organizzare con l’intera Europa, anche se ora lo chiama Operazione Sophia, rimandando all’operazione europea di contrasto al traffico illecito di esseri umani conclusa a marzo 2020. E nel suo manifesto ha ipotizzato la creazione di hot-spot direttamente in Nord Africa. Ma il nuovo governo guarda soprattutto alla Libia. «E infatti», dice Piantedosi, «già in settimana faremo un Comitato per la sicurezza con le agenzie di intelligence. Voglio capire la reale situazione in Libia e che cosa si può fare».
Il punto – insiste – è «che noi non possiamo accettare il principio che uno Stato non controlli i flussi di chi entra. Io credo molto nei corridoi umanitari di Sant’Egidio. Frenare le partenze significa anche limitare le morti in mare, che mi ripugnano e che vedo ormai quasi non fanno più notizia». E aggiunge: «Fin tanto che quei poverini sono sulle navi, tutti si commuovono. Appena a terra, guardano tutti da un’altra parte. Ho visto a Roma gente che era sbarcata 2-3-4 anni fa, ha fatto richiesta di asilo, e adesso sta gettata in strada senza speranza. Chi parla di integrazione, di ruolo dei Comuni e dello Stato, non sa di che parla. Come? Chi? Con quali soldi?» . Conclusione: «Nella discussione si tende a contrapporre gli aspetti umanitari con il governo dei flussi e il rispetto delle regole: in realtà, le due cose si fondono».