Il Pallone d’Oro a Karim Benzema è un riconoscimento dovuto e inevitabile per una stagione grandiosa. Il titolo di miglior giocatore dell’anno è andato a un attaccante che ha vinto campionato e Champions League con il Real Madrid e ha chiuso da capocannoniere entrambe le competizioni.
È anche un premio alla carriera per chi ha saputo farsi protagonista assoluto e indipendente dopo aver vissuto nove stagioni all’ombra di Cristiano Ronaldo, come un qualsiasi Sancio Panza al servizio del più popolare Don Chischiotte.
Forse è anche «il Pallone d’Oro del popolo», come ha scritto lo stesso Benzema sui social, stringendo in un abbraccio le strade di Lione e di Terraillon, non proprio un quartiere in cui trascorrere le vacanze estive o quelle di Natale.
L’attaccante francese è soprattutto il Pallone d’Oro più anziano degli ultimi 66 anni, il secondo più anziano della storia dopo Stanley Matthews, che però lo ha vinto nella prima edizione del trofeo, negli anni ‘50, antichità del calcio.
A quasi 35 anni, il fenomeno del Real Madrid è un caso di notevole longevità, al punto che gli hanno chiesto perfino del ritiro nella sera stessa della premiazione. Dopotutto, l’età avanza e il contratto scade a giugno. Insomma, la sua parabola potrebbe non avere un tratto discendente: per lui la vecchiaia – in senso sportivo – non coincide con un calo delle prestazioni.
Per assurdo, Benzema non è un’eccezione in un’epoca in cui i grandi atleti hanno imparato prolungare le carriere ben oltre i limiti delle generazioni precedenti.
Il tempo può essere crudele con il corpo umano: con l’età i tempi di reazione si dilatano e le funzioni polmonari si riducono, tendini e legamenti perdono elasticità, la cartilagine si assottiglia. Eppure sempre più spesso i grandi campioni riescono a nascondere questo decadimento, mantengono corpi apollinei che sembrano non invecchiare mai.
La scorsa stagione calcistica ne è una dimostrazione. Le classifiche dei migliori marcatori nei grandi campionati europei sono state vinte da Robert Lewandowski, Ciro Immobile, Kylian Mbappé, Momo Salah a pari merito con Son Heung-Min, e ovviamente Karim Benzema. Tutti nati dopo il 1992 tranne Mbappé. Mentre Cristiano Ronaldo è diventato il miglior marcatore nella storia della Fifa a 37 anni, dopo aver segnato il suo 807esimo gol in carriera. E questo è solo il quadro dei migliori attaccanti.
Oggi i grandi campioni curano con attenzione maniacale ogni singolo dettaglio. Studiano potenzialità e limiti del loro corpo, seguono un’alimentazione specifica per le loro esigenze, conoscono le differenze tra i vari tipi di alimenti che assumono, si preoccupano di recuperare al meglio dopo uno sforzo intenso per prevenire gli infortuni.
Proprio Benzema ha detto di aver imparato da Cristiano Ronaldo lattenzione ai dettagli, al bilanciamento della massa muscolare e della massa grassa del proprio corpo, alla necessità di perdere un chilo ogni anno per fronteggiare linve
Lo fanno tutti i migliori, in ogni sport. Anzi, è diventata una condizione indispensabile: senza un approccio di questo tipo è praticamente impossibile arrivare al top nella propria disciplina e mantenere quello status a lungo.
Il 2022 è anche l’anno in cui si sono ritirati Roger Federer e Serena Williams, due leggende del tennis arrivate ben oltre i quarant’anni, capaci di vincere i trofei più importanti anche dopo i 35. È anche l’anno in cui “Pecco” Bagnaia vorrebbe riportare in Italia – nel senso di piloti e di Ducati – il titolo mondiale della Moto Gp nell’anno zero dopo Valentino Rossi, un altro che ha abbondantemente superato i quaranta prima di abbandonare.
A dicembre LeBron James compirà 38 anni, è ancora il quarto giocatore più pagato della Nba e in questa stagione proverà a superare Kareem Abdul-Jabbar nella classifica dei migliori realizzatori della storia del basket. I Los Angeles Lakers sono disperatamente aggrappati al loro Re nonostante il suo chilometraggio, e lui ogni anno sembra poter rifinire il suo corpo e il suo gioco per prolungare ancora il plateau del finale di carriera.
Certo, nemmeno LeBron può battere Father Time, l’unico «still undefeated», come dicono gli americani, ma ogni anno riesce a spingere più in là la data del ritiro grazie a una routine che lo porta a spendere quasi due milioni di dollari l’anno in crioterapia, camere iperbariche, leg boots e una equipe specialisti che ne segue ogni movimento.
Più di LeBron James, il Dorian Gray dello sport americano è Tom Brady. A 45 anni, dopo aver accennato e poi ritrattato l’addio al football americano, Brady non è solo un quarterback affidabile: per qualità nelle letture del gioco è forse il migliore in circolazione e il braccio non perde un colpo nonostante l’usura. Non a caso ha giocato quattro degli ultimi sei Super Bowl. Come ha scritto Louisa Thomas sul New Yorker a febbraio, «a parte quelle rughe sottili intorno alle sue sopracciglia robuste, Brady sembra essere immune all’invecchiamento».
Negli ultimi dieci anni sono cambiate metodologie, tecnologie e conoscenze applicate agli allenamenti e alla preparazione sportiva. Negli sport di squadra gli staff delle società di primo livello si sono ampliati, arricchiti di figure specializzate provenienti da ogni ambito scientifico; i centri sportivi sono diventati dei veri e propri hub di rigenerazione fisica.
Gli atleti, a loro volta, si fanno seguire da specialisti che ne analizzano l’evoluzione giorno dopo giorno per conservare intatto il livello delle performance atletiche. Negli sport individuali è forse ancora più evidente.
Nel 2021, a 34 anni, Novak Djokovic ha avuto forse la migliore stagione della sua carriera, arrivando a un passo dal completare il Grande Slam – la vittoria dei quattro major in un anno solare, un risultato che nel circuito maschile non si vede dal 1969.
La sua attenzione per il corpo nell’ultimo anno è stata letta soprattutto con la lente del No Vax che rifiuta il vaccino anti-Covid, ma da almeno un decennio Nole ha una meticolosità forse unica nel valutare qualunque agente esterno che deve interagire con il suo corpo.
È un professionista che nel 2018 ha subito un intervento chirurgico al gomito dopo quasi due anni di esitazione, perché nel suo stile di vita la priorità numero uno è proteggere il corpo da interventi esterni.
Lo aveva spiegato a febbraio un’intervista esclusiva lunghissima concessa all’Equipe: «Come atleta d’élite, controllo almeno tre volte tutto ciò che entra nel mio corpo. Se qualcosa cambia lo 0,5% del mio corpo, lo sento subito. Sono solo prudente prima di prendere qualsiasi decisione».
È evidente che non sia riconducibile tutto a una paranoia antivaccinista. «Il modo in cui mi siedo – aveva detto ancora a febbraio – la schiena dritta, le ginocchia parallele, la posizione corretta è altrettanto importante. Cerco di prestare sempre attenzione al mio corpo. Non significa che non mi rilasso di tanto in tanto, siamo tutti umani, ci prendiamo delle pause. Ma ho scelto di vivere questa vita, non solo perché so che aiuterà le mie prestazioni, ma perché mi fa sentire bene con tutto ciò che faccio. […] Il mio corpo è il mio strumento, la mia risorsa principale. In tutti questi anni, ringrazio questo corpo per i miei successi, perché sono riuscito a riprendermi velocemente dopo tante partite difficili. Sono alla continua ricerca della perfezione, per migliorare le prestazioni, aumentare le capacità del mio organismo, essere più veloce, più duraturo, più dinamico, più flessibile, più agile».
La competitività estrema di chi vive ai vertici del calcio, del tennis, del basket mondiale ha sempre creato campioni attenti a tutti i dettagli. Lo sviluppo più recente di metodi e strumenti scientifici applicati allo sport – dall’alimentazione al riposo, fino al carico di lavoro in allenamento – ha forgiato una nuova generazione di fenomeni incredibilmente longeva. Al punto che l’ultimo Pallone d’Oro, il calciatore più forte della scorsa stagione, è un ragazzo che ha già segnato più di 400 gol da professionista, ha già vinto tutto più volte e potrebbe decidere di ritirarsi da un momento all’altro.