Relazioni pericoloseL’Ue ha bisogno del gas algerino, ma è preoccupata per la collaborazione militare con la Russia

Per sostituire il metano di Mosca, gli Stati membri (e l’Italia) hanno puntato sul Paese che fa esercitazioni con le truppe del Cremlino, a cui si appoggia per presidiare i suoi confini meridionali

Lavrov in Algeria
Foto: Ministry of Foreign Affairs of the Russian Federation

Si chiama Desert Shield ed è l’esercitazione militare che fa impazzire il mondo occidentale. Duecento militari, metà algerini e metà russi, si sono mossi congiuntamente al confine col Marocco, nell’ambito di un’operazione, la prima di questo genere, che mette in difficoltà diversi Paesi europei, a cominciare dall’Italia.

Sì, perché dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Algeria è diventato il primo fornitore di gas al nostro Paese, dopo la missione internazionale che il primo marzo scorso ha visto impegnati l’allora Premier Mario Draghi, l’allora Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’ad di Eni Claudio Descalzi.

All’epoca – sono passati meno di nove mesi, ma sembra tutta un’altra Italia ora – l’obiettivo principale degli Stati europei era quello di stringere accordi con gli Stati Uniti (produttori principalmente di gas liquefatto, leggermente più costoso di quello aeriforme, e comunque molto lontano a livello geografico), o con Paesi vicini che avessero forza militare e aggressività minori rispetto alla Russia. Questo per evitare che in futuro si arrivi di nuovo a una situazione in cui qualcuno usa le fonti di energia come arma di ricatto.

In generale però, Italia e Algeria sono in buoni rapporti già da novembre 2021, quando il Presidente Mattarella andò in Maghreb per incontrare il pari ruolo, Abdelmadjid Tebboune. Durante quell’incontro, Mattarella aveva ribadito quanto fosse importante una partnership tra due paesi anche relativamente vicini.

Nel 2020, l’interscambio tra i due Paesi è stato di quasi sei miliardi di euro, con l’Italia che importa dall’Algeria principalmente gas, ma esporta macchinari, prodotti chimici e petroliferi raffinati, per un totale di quasi due miliardi di euro annui. Per questi motivi il nuovo amore tra Algeri e Mosca preoccupa non poco l’Italia e l’Unione Europea.

Desert Shield può essere vista come un’esercitazione scomoda per vari motivi: la Russia sta ribadendo un ruolo autorevole in una zona d’Africa, quella tra il Sahara Occidentale e il Sahel, che è stata sfruttata e dimenticata dai vecchi padroni coloniali, spagnoli e, soprattutto, francesi.

In questo senso la presenza dell’esercito russo in Algeria e del gruppo mercenario Wagner nel vicino Mali (una polveriera di cui troppo poco si parla) fa riflettere sulle manchevolezze della politica europea di peacekeeping e getta preoccupazione, dato la rinnovata intesa tra i paesi nordafricani e Putin.

C’è poi un tema di rivalità che sembra trascurabile, ma non lo è. Marocco e Algeria hanno rapporti tesi da sempre, principalmente per due motivi: il l’Algeria recrimina ai vicini il fatto che la fine del dominio francese sia passata dalla firma di un trattato nel 1956 con l’allora Re Hassan II (padre dell’attuale monarca, Muhammad VI) che poté finalmente tornare dall’esilio in Madagascar, mentre loro dovettero passare da una sanguinosissima guerra d’indipendenza che durò otto anni e causò quasi due milioni di morti.

Viceversa, i marocchini non tollerano che l’Algeria sia il Paese più grande d’Africa, mentre il loro territorio, anche comprendendo l’enorme regione occupata del Sahara Occidentale (che rappresenta il quaranta per cento dell’intera superficie del Marocco, che rivendica l’autonomia dal 1976 e su cui è presente dal 1991 la missione Onu Minurso, oggi guidata dall’italiano Staffan De Mistura), sia ben sei volte più piccolo.

In tutto questo, la questione Saharawi è di vitale importanza: centinaia di migliaia di profughi vivono infatti da ormai quarantasei anni a Tindouf, su territorio algerino, al sicuro dalle offensive marocchine.

Con relazioni mai così vicine alla guerra, il Marocco ha stretto i rapporti con gli Stati Uniti nell’ultimo anno dell’amministrazione Trump e li ha ulteriormente rafforzati con la visita del segretario di Stato Blinken dello scorso marzo. Per questo, se da una parte il Marocco guarda Oltreoceano, dall’altra l’Algeria cerca di intavolare una partnership con la Russia, dopo aver incrementato del 130 per cento la spesa per la difesa.

A Bruxelles c’è grande preoccupazione: diciassette eurodeputati hanno scritto una lettera indirizzata alla Presidente Von Der Leyen, chiedendo che la Commissione esiga chiarimenti riguardo i rapporti tra Algeria e Russia.

Solo un mese fa, infatti, il commissario europeo per l’energia Kadri Simson, aveva parlato di una partnership strategica a lungo termine con l’Algeria. Questa esercitazione spariglia un po’ le carte e genera dubbi sul futuro dei rapporti dell’occidente con il paese nordafricano.

La lettera degli eurodeputati è in tutto e per tutto identica a quella scritta dai ventisette membri del congresso degli Stati Uniti, democratici e repubblicani, in cui si chiedeva al presidente Biden di fare fronte al Caatsa per sanzionare l’acquisto di armi russe da parte di Algeri.

Il Caatsa, acronimo di Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act, è un atto con cui la presidenza americana può colpire economicamente i Paesi che fanno affari con la Russia per i comparti difesa e intelligence.

Obiettivamente l’avanzata dei gruppi jihadisti nel nord del Mali (con una minaccia crescente per il confine con l’Algeria) preoccupa il presidente Tebboune che, dopo il fallimento della task force a guida francese Barkhane, conclusasi con i militari europei che hanno ripiegato in fretta e furia in Niger prima della definitiva capitolazione, ha trovato nell’esercito russo l’interlocutore giusto per proteggere i confini, visto anche il lavoro che Wagner ed esercito regolare stanno facendo contro Iswap (Islamic State of Western Africa Province).

A questo punto però bisogna capire che la posizione dell’Algeria, contesa tra sicurezza ed economia, è più scomoda che mai: collaborare con la Russia potrebbe significare rompere con l’Ue e perdere decine e decine di miliardi di euro che arriverebbero dalla fornitura di gas a moltissimi Paesi, Italia in primis.

Viceversa, interrompere i rapporti con Mosca potrebbe garantire introiti vitali per un’economia sostanzialmente fragile, che si regge sull’esportazione di gas, ma metterebbe a serio rischio la tenuta del confine Sud del suo paese, che potrebbe diventare preda di una milizia che verosimilmente non verrà più fermata dalle forze russe quando cercherà di debordare.

In tutto ciò, l’Europa guarda se stessa riflessa in uno specchio dal quale emergono le sue fragilità: può fare la voce grossa, ma fino a un certo punto. Ha bisogno del gas algerino, oggi più che mai. Altrimenti cosa farà in questo inverno e in quelli a venire?