«È una legge di bilancio a tempo. Giustamente, hanno concentrato due terzi degli interventi sul caro-energia, ma solo sino al 31 marzo. Bisognerà capire cosa succederà dopo. Oggi la legge di bilancio è prudente sui saldi, lo apprezziamo. Ma il 1 aprile cosa ci aspetta?». Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi sulla Stampa analizza la manovra appena approvata dal governo Meloni, sottolineando che le risorse contro i rincari delle bollette hanno un limite di quattro mesi e che, alla fine, l’intervento sul cuneo fiscale risulterà poco efficace. Conclusione: «Sulla manovra pendono tre incognite». Ovvero: «La prima è il tempo, la sua durata, cose a cui nessuno sembra pensare. Poi c’è la politica: è evidente che sono state prese decisioni per accontentare le diverse anime della maggioranza, e questo viene prima delle vere urgenze del Paese. La terza è che manca di visione. Sulla lotta alla povertà, come su occupabilità e produttività».
Secondo il presidente degli industriali, l’approccio prevalso sembrerebbe quello di «tenere insieme le varie anime della maggioranza, prendere intanto micro-decisioni e spostare tutto avanti di tre mesi». Anche sul capitolo energia, «ci sarebbe piaciuto più un intervento alla tedesca che il credito d’imposta sui costi energetici, ma va bene. Però sono fondi che finiscono a marzo. Se ad aprile puntano a nuove misure tutte in deficit, sarebbe meglio dirlo subito».
Per il momento, «è un bene che si sia tenuta la barra dritta sulla finanza pubblica». Ma resta sempre, per Bonomi, lo scostamento di bilancio «come extrema ratio. E spiegandolo bene in anticipo in Europa e ai mercati. Va utilizzata ogni risorsa per tamponare la crisi energetica e la perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Ma va riconfigurata la spesa pubblica e sociale. Se fatto tutto questo non dovesse bastare – e in assenza di un Next Generation Ue per l’energia –, solo allora potremmo essere costretti a più deficit. Spiegando che è l’assenza di sostegno europeo a rompere il mercato unico, avvantaggiando Paesi con più spazio fiscale come la Germania».
Anche la fine del reddito di cittadinanza resta solo «un annuncio», per Bonomi. «Dicono che vogliono intervenire, però non evidenziano su quali politiche possano assicurare l’accesso al lavoro e la tutela sociale. Si daranno soldi ai centri pubblici per l’impiego che sono stati un fallimento? Avremo un sistema pubblico-privato? Si è preso tempo senza dire come intervenire per alzare l’occupabilità».
E anche «sul cuneo non si fa un intervento decisivo». Bonomi spiega perché: «Il mini-taglio aggiuntivo vale 46 euro lordi in più al mese ai dipendenti con meno redditi. Poco più di nulla. Serviva un taglio energico. La politica non si è assunta la responsabilità di farlo e coprirlo, ma offre nuovi forfait alle partite Iva. I soldi ci sono. La spesa pubblica supera i mille miliardi, riallocare qualche miliardo necessario a un taglio contributivo significativo non è impossibile. Se si fosse voluto incidere, si sarebbero trovati i mezzi». Perché «se riduci le tasse sugli autonomi, il lavoratore dipendente che ha la stessa retribuzione paga tre volte tanto. Alcuni dipendenti iniziano a dire alle imprese che preferiscono passare alla partita Iva perché così risparmiano sulle tasse, che sul lavoro in Italia sono tra le più alte dei Paesi Ocse. Creando in questo modo anche problemi di lungo periodo per la sostenibilità Inps e alimentando il precariato». Facendo i conti, «l’estensione della aliquota piatta si valuta in circa 300 milioni aggiuntivi. Il conto 2023 salirebbe così a 2,5 miliardi. Avremmo potuto tagliare il cuneo fiscale di un altro punto e mezzo».
Di fatto, dice Bonomi, «le riforme sono slittate di un anno, dal reddito di cittadinanza alle pensioni. Se non ci saranno le risorse, il rinvio diventerà un “non fare”. E poi da un lato prepensioni e dall’altro offri incentivi a chi rimane. Provocatoriamente c’è davvero qualcuno che è andato in pensione con la Fornero a 67 anni? Abbiamo alternative plurime: salvaguardia degli esodati, prepensionamenti, isopensione, ape social, opzione donna, lavori usuranti. Nel 2022 l’età media di uscita sarà 61 e mezzo. Senza dimenticare che quota cento doveva portare quattro assunzioni ogni uscita. Siamo arrivati a 0,4 ogni pensionato, neanche l’effetto sostituzione».
E «se annunci la riforma del reddito di cittadinanza senza dire come, è ovvio che chi vuole fomentare tensioni sociali scende in piazza».
Bonomi ricorda che «non si crea crescita e lavoro per decreto. Non è così. Una svolta per l’occupabilità richiede una visione organica che rimoduli tasse, contributi, welfare, scuola e formazione. Serve visione. Tutto cose che non leggo nella legge di bilancio. O almeno non ancora».
E poi ci sono i «drammi industriali a cui dovremmo dare risposte, e tutti cominciano con la “I”: Ita, Ilva, Isab, Intel. Già non abbiamo un quadro di regole precise per agevolare chi investe. Diventa poi inutile se scopriamo ora che a Priolo si chiude tutto fra pochi giorni, dopo aver ignorato la questione per mesi. Sono dieci anni che inseguiamo una soluzione per l’IIva, non si è deciso se debba essere pubblica o privata, se il ciclo integrale dell’acciaio ci serve oppure no».
Anche Papa Francesco ha detto che la povertà si combatte creando occupazione, ricorda Bonomi. «In Italia lavora meno del 60% di chi ha tra 15 e 64 anni e il tasso d’occupazione femminile è quattordici punti sotto la media Ue. Non vedo, nella legge di bilancio, un’anima che guardi a queste cose». Ma «dobbiamo dare le risposte alle ansie delle persone creando lavoro. Negli ultimi anni abbiamo duplicato la spesa sociale e raddoppiato i poveri. Vuol dire che le politiche sociali non stanno funzionando».
Ora, Bonomi spera che quel patto per l’Italia, figlio della concertazione più larga, si farà. Una parte del sindacato è stata fredda, «quella che ha pensato di ottenere di più dal rapporto diretto con governi “amici”», ma «è necessario sedersi al tavolo insieme e ragionare. Spero che il presidente del Consiglio mantenga quanto ha ribadito anche ieri e stimoli un confronto più approfondito fra tutte le parti».