«Il cambiamento climatico sta minando ogni dimensione della salute globale, sta aumentando la fragilità dei sistemi globali da cui essa dipende e la vulnerabilità delle popolazioni alle crisi geopolitiche, energetiche e del costo della vita». É questo il racconto che emerge dal settimo Lancet countdown report, uscito alla vigilia della Cop27 di Sharm el-Sheikh, la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni unite. Quanto accade «sta anche e sempre più minando la sicurezza alimentare globale: una nuova analisi condotta su centotré paesi mostra che i giorni di caldo estremo, cresciuti per frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, hanno prodotto nel 2020 circa novantotto milioni di persone in più in stato di insicurezza alimentare da moderata a grave rispetto alla media registrata nel periodo 1981-2010».
Sappiamo quanto l’esistenza di sistemi sanitari ben preparati siano essenziali per proteggere le popolazioni dagli impatti sulla salute causati dai cambiamenti climatici, e tuttavia «i sistemi sanitari globali sono stati drasticamente indeboliti dagli effetti della pandemia da Covid-19 e i fondi disponibili per l’azione per il clima sono diminuiti nel 30 per cento delle 798 città prese come indicatore. Solo 48 paesi su 95 hanno valutato le proprie esigenze di adattamento ai cambiamenti climatici e solo il 63 per cento dei paesi ha segnalato uno stato di attuazione da alto a molto elevato per la gestione delle emergenze sanitarie nel 2021». Uno scenario che si inserisce all’interno di un più ampio contesto fatto di povertà e di disuguaglianze in un presente e soprattutto in un futuro in balia di epidemie, incendi, alluvioni e fame.
Si tratta di dati terribili che raccontano anche di governi e aziende in questo momento a confronto con l’impatto “concorrente” della crisi energetica e della pandemia, erroneamente considerate più immediate del riscaldamento climatico. Le misure adottate e la narrazione che le accompagna sono frutto dell’illusoria convinzione di poterli affrontare come problemi isolati. Che richiedono risposte diverse se non addirittura contraddittorie, mentre invece il rapporto di Lancet, un documento pubblicato ogni anno grazie al lavoro di ricerca di novantanove esperti provenienti da cinquantuno diverse istituzioni, fra cui l’Oms e il World meteorological orgnization (Wmo), sottolinea quanto i tre fattori cambiamenti climatici, salute ed energia, si intersechino a doppio filo e abbiano bisogno di risposte congiunte.
Quali dunque le principali strade da seguire? Sostanzialmente due. La prima è quella di imprimere una forte accelerazione al passaggio a uno stile alimentare soprattutto vegetale: eliminando gli allevamenti intensivi si eliminerebbe tutto l’inquinamento che questi comportano. La seconda è velocizzare il processo di abbandono dei combustibili fossili. Soluzione, quest’ultima, che risponde appieno anche alla crisi energetica e a gran parte delle conflittualità geopolitiche.
E pur tuttavia su 86 paesi analizzati, 69 destinano ancora immense sovvenzioni ai combustibili fossili: nel 2019 erano quattrocento miliardi di dollari! E il rapporto di Lancet lo scrive esplicitamente: «In questo momento cruciale, una risposta alle crisi attuali incentrata sulla salute potrebbe ancora offrire l’opportunità di un futuro resiliente e a basse emissioni di CO2. Non solo eviterebbe i danni alla salute derivanti dall’accelerazione dei cambiamenti climatici, ma consentirebbe anche di migliorare il benessere grazie ai co-benefici associati all’azione per il clima».