Quando avevo vent’anni la mia amica Chiara si trasferì a New York – per sempre, come si prendono le decisioni a vent’anni – lasciandomi in eredità un suo fidanzato di pessimo carattere; ma non è di lui che parleremo oggi.
Cambiò idea dopo pochi mesi – come tutti quelli che a vent’anni prendono grandi decisioni – e tornò a vivere a Roma. Aveva un nuovo fidanzato, dalla pelle nera (che modernità!), ed era incinta (che classico imperituro!).
La invitai a cena, all’ultima cena ch’io abbia mai organizzato. Pulii tutto il giorno: ho ancora, sul ginocchio destro, il segno d’una scheggia di vetro che mi sorprese mentre a pecorina sguravo il pavimento della cucina.
Cucinai, persino. Da giovane cucinavo, che è un’attività della quale non conservo alcun ricordo ma i testimoni (i pochi non ancora morti di vecchiaia) ci giurano. Cucinavo nonostante non ci si potesse instagrammare mentre si cucinava: che spreco. Misi sul tavolo del salotto tutte le pietanze accuratamente preparate: a vent’anni ci tenevo a essere un’ottima padrona di casa (la giovinezza e le sue assurde ambizioni).
Chiara e il suo fidanzato americano arrivarono, ignorarono il divano azzurro, si sedettero su due sedie a lato del tavolo, e per tutta la sera non smisero di tenersi la mano (ah, l’amour). Non arrivò mai nessun altro.
Se non siete mai state in una casa vuota con due innamorati ai cui occhi siete invisibili, e cibo e bicchieri per venti persone, non sapete cosa sia l’umiliazione. Se, come a molti, vi è capitato che le persone non avessero nei vostri confronti particolari attenzioni, quell’umiliazione vi avrà temprato, e sarete diventati degli adulti. Cosa che a questa generazione, quella di chi è minorenne oggi, non pare essere consentita.
Ma i minorenni m’interessano poco: il vero materiale di studio mi paiono i genitori. Breanna Strong vive nello Utah, ha 27 anni e una figlia alla quale ha organizzato una festa per il terzo compleanno. Ovviamente non una festina in tinello, quelle robe di questo secolo complessato, affitto di parco a tema e tutto il cucuzzaro. Ha invitato ventisette bambini (uno per anno?) e poi ha messo in scena su TikTok il proprio trauma: non si è presentato nessuno, la maggior parte non ha mai risposto e alcuni hanno cambiato la loro risposta affermativa all’invito Facebook la mattina del giorno della festa. Il cuore di una mamma si spezza, scrive Breanna, come tutti i suoi coevi non portatissima a non mettersi al centro delle cose.
La domanda è: ma Breanna non ha mai letto Piccole donne? Le pagine più formative della letteratura per femmine minorenni sono quelle in cui nessuno si presenta al brunch di Amy. La sera della mia cena deserta, io capii che non sarei mai stata Jo, che si vendeva i capelli per aiutare i soldati; non sarei mai stata Beth, che muore senza disturbare; non sarei mai stata Meg, della quale nessuna lettrice ricorda un aneddoto significativo. Ma ero temprata a essere Amy, che sopravvive a una tavolata di cibo che gli ospiti non si sono presentati a consumare.
La differenza è che le sorelle March non avevano un telefono con telecamera col quale rovinarsi i neuroni e la tempra. La morte di Beth non diventava un GoFundMe col quale raccogliere i fondi per curarla. Laurie che prima vuol sposare una sorella poi l’altra non diventava una doppia sequenza di storie Instagram col box domande per fare la posta del cuore, con la richiesta alle follower di raccontare la loro vita sentimentale per avere noi il pretesto di narrare la nostra.
Amy che brucia il manoscritto di Jo non diventava un caso su Twitter, un dilemma etico sul quale ogni deputato voglia dire la sua pur di non lavorare, tramite il quale di sponda tutti cerchino consensi, tu stai con la bionda o con la mora, con l’autocertificata grande scrittrice o con la sorella che non le permette di farsi illusioni, con la vittima o con la carnefice.
Jo che salva Amy dall’affogare nel lago ghiacciato – nonostante quella stronza le abbia bruciato il manoscritto – non diventava un tutorial sul pattinaggio, né una lezione sul perdono, né un anticipo editoriale.
Niente diventava niente, neanche il brunch deserto d’ospiti, soprattutto perché a non avere un cellulare che rendesse tutto il pubblico e moltiplicasse dolenze e vittimismi era la madre. Mamma March da piccole ci sembrava un personaggio insopportabile, ma era solo perché non avevamo ancora visto le madri che aspettano il momento in cui la prole è maggiormente derelitta per poi filmarla e condividerla coi loro più intimi estranei aggiungendo scritte che ci dicano che umanità orribile siamo: abbiamo fatto piangere la bambina. Una treenne che non sa cosa sia un compleanno, non sa cosa sia una festa, non sa cosa siano Facebook o TikTok (che invidia). Ma sa che deve fare la faccia triste, così la mamma prende i cuoricini.