L’unica buona notizia per Giorgia Meloni è la liberazione della blogger Alessia Piperno che era stata arrestata in Iran. Per il resto tante nubi nere su Palazzo Chigi.
Intanto l’incontro con i sindacati non è andato bene e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, illustrando il Nadef alle Camere, ha spiegato che intende procedere con un «approccio prudente e responsabile». Pochi soldi da destinare al caro energia, rispetto ai 200 miliardi della Germania, e tante promesse elettorali che non possono essere soddisfatte. Per il momento vanno chiuse in un cassetto. Tranne poi, contraddicendo il suo approccio di stampo draghiano, il titolare di via XX Settembre pensa a un crescendo di spesa pensionistica con Quota 41 e ancora sussidi.
Se poi alza lo sguardo oltre i nostri confini, la premier si trova stritolata da una serie di questioni.
La riforma del Patto di stabilità vedrà l’Italia costretta a firmare piani di rientro del debito più lunghi nel tempo, ma vincolati a controlli rigidi e a tagliole simili a quelle previste per il Pnrr: niente soldi europei se non si rispettano gli accordi presi a Bruxelles. Il sovranismo si sbriciola di fronte alla cruda realtà dei fatti e dei dati.
Ancora peggio se si guarda alla Francia. La stretta di mano tra Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron qualche settimana fa a Roma, in occasione di un incontro della comunità di Sant’Egidio, faceva sperare in un’intesa, comunque a un nuovo clima con Parigi. Una speranza che sembrava consolidata dopo il colloquio tra i due a Sharm el-Sheik.
E invece tutto si è complicato con la rotta della nave Ong Ocean Viking. Sembrava che il porto di Marsiglia fosse disponibile per lo sbarco dei 243 migranti e la premier aveva esultato per questa apertura considerata l’effetto positivo della linea dura del nostro governo. «L’aria è cambiata», si era sbracciato il solito Matteo Salvini.
Il successivo irrigidimento dell’Eliseo, e la stessa reazione di Bruxelles, ha fatto crollare il castello: una porta in faccia dell’esecutivo francese che ha definito «inaccettabile il comportamento italiano». Facendo pure pesare, con poca classe, la circostanza che l’Italia è la prima beneficiaria della solidarietà finanziaria nell’Unione europea. Il ministro dell’Interno Gerald Darmanin ha fatto presente che la nave era nell’area di ricerca italiana: «La Francia si rammarica profondamente che l’Italia non abbia deciso di comportarsi da Stato europeo responsabile».
Un vero incidente diplomatico mentre continuano a sbarcare a Lampedusa centinaia di migranti, ma Parigi alla fine assegna alla Ocean Viking il porto di Tolosa «a titolo eccezionale», come sottolinea Darmanin. E infatti Parigi sospende il trasferimento concordato prima dell’estate di 3500 rifugiati e chiede all’Unione europea di prendere provvedimenti contro l’Italia.
Le conseguenze della rottura potrebbero averne ulteriori nel gioco delle alleanze europee e sui dossier aperti in cui l’Italia ha un disperato bisogno di alleati. È una brutta storia di sovranismi che si intrecciano, di paure per la reazione delle opinioni pubbliche nazionali. Non è un caso che a soffiare sul fuoco sia arrivata puntualmente Marine Le Pen, che accusa Macron di «lassismo» per aver concesso il porto di Tolosa. «Con questa decisione non potrà più far credere a nessuno che intende porre fine all’immigrazione massiccia e all’anarchia», sostiene la leader del Rassemblement National, l’amica di Salvini con cui condivide il gruppo parlamentare di Strasburgo.
Le risposte italiane dal ministro Antonio Tajani al ministro Matteo Piantedosi («la reazione francese è sproporzionata e incomprensibile») chiudono il cerchio di fuoco attorno al nostro Paese. È il cortocircuito dei sovranisti ognuno in casa propria. È l’effetto anche della difficoltà del governo italiano di gestire il fenomeno migratorio rispetto alle promesse elettorali. Affondano tutti i blocchi navali e rimaniamo soli in mezzo al mare a gestire l’arrivo di migranti che non si ferma.
L’altra brutta notizia viene dagli Stati Uniti. I Repubblicani non sfondano alle elezioni di midterm, Donald Trump, l’altro (ex) amico populista degli italiani al potere, è spompato, affossa i suoi candidati.
Meloni, quando non contava niente, faceva la fila alle convention americane dove tutti aspettavano il messia dalla zazzera dorata. Ora meglio evitarlo, meglio tenere buoni rapporti con il vecchio Joe Biden, che tutto sommato regge la botta al Senato e alla Camera. Meloni ha bisogno di Biden, è meglio stare alla larga da Donald e dai suoi filamenti putiniani, in mezzo a una guerra arrivata a una svolta (il ritorno da Kherson da parte dei russi) grazie all’irriducibile resistenza ucraina e alle armi occidentali. Meloni deve solo sperare che tra due anni non rivinca il palazzinaro golpista, sarebbe imbarazzante, ma un altro repubblicano.
Sempre che nel frattempo il governo Meloni regga, ma al momento può dormire sogni tranquilli visto che dal caos dell’opposizione non potrà mai nascere una “stella danzante”.