L’incontro tra Meloni e i sindacatiLandini e Bonomi sfidano il governo su tasse e lavoro

Le parti sociali alzano il tiro e chiedono riforme e investimenti in vista della manovra 2023. A Palazzo Chigi oggi previsto il vertice con i leader di Cgil, Cisl e Uil, e ci sarà anche la sigla di destra dell’Ugl. La premier è disposta a rompere l’unità sindacale. Venerdì appuntamento con le associazioni imprenditoriali. Durigon ammette che sulle pensioni ci sarà solo una soluzione ponte

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Sindacati e imprese alzano i toni nei confronti del governo, finora più impegnato a fermare gli sbarchi delle ong sulle coste italiane e non i rincari delle bollette. Le parti sociali chiedono interventi forti per i lavoratori, riforme e investimenti più che bonus o misure spot. con un «taglio schock» da 16 miliardi del cuneo fiscale, in vista della legge di bilancio per il 2023.

La premier Giorgia Meloni incontrerà oggi 9 novembre i leader sindacali. Ma a differenza degli ultimi incontri svolti da Mario Draghi in sala Verde, oltre a Cgil, Cisl e Uil ci sarà anche l’Ugl, la sigla amica, da cui proviene ad esempio Claudio Durigon, il sottosegretario leghista al ministero del Lavoro. Giorgia Meloni punta a disinnescare il conflitto sociale, ma la sua tentazione segreta sarebbe quella di rompere l’unità sindacale per isolare la Cgil, scrive La Stampa. L’obiettivo è portare in parlamento la legge di bilancio a dicembre senza l’ostilità dichiarata dei sindacati. Anche solo con il placet di tre sindacati su quattro, visto che la Cgil già minaccia la mobilitazione.

I tempi molto stretti per la manovra rendono più aspre le trattative. E le diverse vedute sulle questioni economiche tra Fratelli d’Italia e Lega non aiutano. Le emergenze legate alla super inflazione quasi al 12%, al caro bollette, al lavoro povero con salari bassi e oltre 500 contratti nazionali da rinnovare per 6 milioni di lavoratori rendono l’incontro di oggi un crocevia, scrive Repubblica. I sindacati si aspettano interventi strutturali a sostegno di lavoratori e pensionati per alzare il potere d’acquisto falcidiato dai rincari. Vogliono una riforma del fisco, ma non quella proposta da Salvini e Meloni.

«Siamo contrari alla flat tax perché non è progressiva, lo diremo a questo governo come abbiamo detto no l’anno scorso alla riforma dell’Irpef di Draghi», dice Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. «Il tema fondamentale è come combattere l’evasione da 120 miliardi e trovare le risorse per aumentare le buste paga con un altro intervento sugli extraprofitti», continua. «Eppure questo governo pensa ad alzare la soglia del contante a 10mila euro in un Paese in cui 6 milioni di lavoratori non arrivano a 10mila euro lordi all’anno. Veramente un brutto inizio». Anche Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, propone di «affrontare insieme i tanti dossier» e di farlo con l’obiettivo di chiudere «un nuovo accordo di politica dei redditi».

Venerdì 11 novembre, Meloni ha dato appuntamento a 22 sigle delle associazioni imprenditoriali. Ma i malumori arrivano anche da Confindustria, con il presidente Carlo Bonomi che torna a chiedere di abbattere il cuneo fiscale troppo alto. Serve un «taglio shock», ripete. «Da 16 miliardi, ovvero cinque punti in meno, due terzi a favore del lavoratore e un terzo delle imprese, 1.200 euro all’anno in più strutturali in tasca ai dipendenti». La spending review, i risparmi di spesa previsti dal governo, «di 4 miliardi in tre anni non basta: ci vuole più coraggio». Il taglio da 16 miliardi era la stessa richiesta portata a luglio da Bonomi sul tavolo di Draghi, all’epoca respinta per l’entità. Alla fine un taglio c’è stato, di due punti per i dipendenti fino a 35mila euro. Ma lo sconto che finisce il 31 dicembre. Per rinnovarlo servono 3,5 miliardi: il minimo che le parti sociali si aspettano dal governo Meloni.

Non sarà facile in una manovra che si annuncia da 30 miliardi, con 21 in deficit e 9 coperti da tagli tutti da individuare. «Le risorse vanno messe tutte sull’energia per imprese e famiglie», dice Bonomi. Per il resto, va tagliata la spesa pubblica «improduttiva».

Per fare cosa? Alzare i salari, ma anche cambiare la legge Fornero, che scatterebbe a inizio anno con la fine di quota 102. Ma il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, Lega, sulla Stampa ammette: «Di certo in un mese e mezzo non riusciremo a fare la riforma, non ci sono riusciti altri governi ed è impensabile farlo ora. E oggettivamente sarebbe anche sbagliato, perché una riforma del genere va condivisa coi sindacati e non si fa in una settimana». L’obiettivo, dice, «è quello di evitare che col nuovo anno si torni alla legge Fornero col ripristino dello scalone dei 67 anni. Partiamo con un primo intervento poi vedremo cosa fare confrontandoci coi sindacati quali modifiche introdurre. Per me ora si tratta di dare un segnale per far capire dove si vuole andare, magari inserendo “quota 41” come prima fase per poi costruire la soluzione definitiva».

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