La bandiera ucraina che sventola a Kherson è il simbolo di una durissima lezione ai pacifisti del 5 novembre – quelli in cattiva fede, precisiamo, che dietro la pace malcelano antiamericanismo, anticapitalismo e quant’altro – in particolare a un certo pacifismo cattolico e al complementare pacifismo della sinistra antioccidentale.
L’altro giorno alla presentazione del libro catto-comunista di Goffredo Bettini (che nella sua rete ideologica rodaniana ha tirato su l’improbabile anticapitalista Giuseppe Conte), il professor Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, ha svolto un articolato discorso sulle ragioni della trattativa non lesinando una sapida critica alla «piazzetta di Milano», dove sempre il 5 novembre si era svolta una manifestazione in cui si poneva al centro la necessità di proseguire con gli aiuti militari alla Resistenza ucraina.
Una battuta di dubbio gusto, e alla luce di quella bandiera sventolante su Kherson, piuttosto infelice. Perché oggi risulta evidentissimo che le armi sono servite, servono e serviranno fino a che i russi non si saranno ritirati rendendo possibile solo a quel punto i negoziati di pace secondo quanto affermato ancora ieri da Zelensky.
La storia dunque, ancora una volta, ha sconfitto l’ideologia irenista e imbelle – l’avrebbe definita Emmanuel Mounier – che ha contrassegnato la piattaforma del 5 novembre egemonizzata dell’influenza del mondo cattolico dossettiano che sotto molti aspetti si incrocia e si ripara dietro il terzomondismo di Bergoglio.
C’è da chiedersi, a questo proposito, se e quanto l’azione del Vaticano sia stata e sia rilevante nel conflitto scatenato da Mosca: questione estremamente complessa che non può essere risolta con l’argomento che la Chiesa è sic et simpliciter per la pace, a meno di non voler dire che Giovanni Paolo II fosse un guerrafondaio schierandosi per il primo intervento nel Golfo; ed è comunque significativo che i pacifisti cattolici si dimentichino che il Papa ha comunque sempre parlato dell’integrità dell’Ucraina.
Il punto è che il pacifismo di Sant’Egidio e delle associazioni pacifiste cattoliche in questa fase ha mostrato i limiti di un pensiero parziale, troppo condizionato da un’avversione culturale, politica e persino morale verso il modello occidentale incarnato dagli Stati Uniti e al protagonismo americani nel mondo (la retorica spesso evocata da Avvenire sull’elmetto o sul gendarme del mondo) e quindi di riflesso anche verso un’Europa che rinsalda il suo legame atlantico.
Un antiamericanismo che ha condotto persino a non vedere l’essenza di questa guerra che è una guerra fra una democrazia e una dittatura. E che quindi per sua natura obbliga a schierarsi, allontanando come il diavolo anche solo l’impressione di un’equidistanza: ed è qui che il neo-dossettismo non regge. Perché in fondo siamo sempre a Giuseppe Dossetti contro Alcide De Gasperi. All’integralismo equidistante contro la politica che come tale sceglie da che parte stare. E una certa freddezza di questo pezzo di mondo cattolico verso il Partito democratico è dovuta alla linea del sostegno armato a Kyjiv coraggiosamente voluta da Enrico Letta.
Tuttavia questa posizione, incrinata però dallo stesso Letta con la sua partecipazione alla marcia del 5 novembre, ha difficoltà a orientare le scelte del popolo della sinistra ancora in larga parte ammaliato dalle sirene antiamericane, terzomondiste e catastrofiste proprie dell’ultimo Berlinguer nonché dell’estremismo italiano: non è un caso se i (pochi) contestatori di Letta gli abbiano gridato allo stesso tempo di essere contro la pace e di aver distrutto il Partito (verosimilmente con la P maiuscola).
La bandiera su Kherson dovrebbe in teoria far interrogare anche quel pezzo della sinistra ancora disposto a ragionare sui fatti e, sempre in teoria, rafforzare la posizione di Letta. Ma di tutto questo finora non v’è segno. Il problema qui non è Orsini. Né Conte. Il problema è di centinaia di migliaia di elettori di sinistra intrappolati nello schema della Guerra fredda, America contro i popoli.
In conclusione, la ritirata di Putin da Kherson e la concomitante vittoria di Joe Biden alle elezioni di midterm dovrebbero quindi suggerire al professor Riccardi e al mondo catto-comunista una riflessione ulteriore, diremmo autocritica, sul massimalismo etico che ha guidato sin qui le loro azioni e che ha subito un colpo dalla Storia. Ma è improbabile che avverrà.