Cantiere manovraCosì Mattarella ha fermato il governo Meloni sul tetto al contante

La misura andrà in legge di bilancio, assicurano dalla Lega. Il Tesoro sembra aver rinunciato intanto al condono penale per gli evasori fiscali che pagano. E la coincidenza tra lo stop del Colle e la retromarcia di Giorgetti non sarebbe casuale. Per fare il punto della situazione, oggi Giorgia Meloni riunirà i capigruppo di maggioranza

Foto Roberto Monaldo / La Presse

A sorpresa, la norma che a partire da gennaio alzava da mille a 5mila euro la soglia per l’utilizzo del denaro contante è sparita dall’ultima bozza del decreto aiuti quater, approvato dal Consiglio dei ministri il 10 novembre e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. «Abbiamo scelto di alzare il tetto del contante a cinquemila euro, l’avevamo nel programma e la scelta che è stata fatta è di allinearsi alla media europea», aveva annunciato in conferenza stampa una settimana fa Giorgia Meloni. Poi il dietrofront. Lo stop è arrivato dal Quirinale, che nella normale interlocuzione col governo, ha fatto presente che non si potevano ravvisare motivi d’urgenza tali da inserire una misura del genere in un decreto. Tanto più per una norma che andrà in vigore dal prossimo anno.

Fonti della Lega ieri si sono affrettate ad assicurare che «non c’è nessun problema: dal primo gennaio il tetto sul contante salirà a 5mila euro. La norma sarà inserita nella legge di bilancio». Insieme alla sanatoria per il rientro dei capitali dall’estero, che rappresenta l’ultima novità sul fronte delle entrate (4-5 miliardi è la stima) nella legge di bilancio. Il governo, invece, sembra aver rinunciato al condono penale per gli evasori fiscali che pagano. Almeno stando alle rassicurazioni arrivate dal Tesoro: «Nella legge di bilancio non ci sarà in nessun caso posto per condoni di carattere penale».

La Stampa racconta che la norma in realtà era stata discussa al Tesoro in una riunione tecnica coordinata dal sottosegretario al Mef Maurizio Leo. E fa notare che la coincidenza tra lo stop di Mattarella sul tetto al contante e la retromarcia di Giorgetti sul condono penale non è casuale. E così la «tregua fiscale» del governo Meloni avrà soltanto la rottamazione delle cartelle e la voluntary disclosure in preparazione per bissare le norme dei governi Renzi e Berlusconi.

La manovra sarà varata lunedì 21 novembre dal consiglio dei ministri. Poi in Parlamento comincerà una corsa contro il tempo. Alla fine della prossima settimana il testo dovrebbe arrivare in commissione Bilancio alla Camera. Al momento l’approdo in Aula è previsto non prima del 20 dicembre. Inevitabilmente, il passaggio in Senato sarà solo tecnico, per chiudere prima di Natale o subito dopo. Si susseguono intanto le riunioni sia tecniche che politiche. Per fare il punto della situazione, oggi Giorgia Meloni riunirà i capigruppo di maggioranza.

Al momento la legge di bilancio dovrebbe prevedere misure per circa 30-32 miliardi di euro che, come noto, verranno per i due terzi impegnati in un nuovo pacchetto di misure per contrastare il caro energia di fatto replicando in larga parte gli interventi dell’ultimo anno.

Ma la decisione sui reati fiscali è solo l’ultima di molte retromarce alle quali la maggioranza è stata costretta dalla difficoltà a comporre una manovra che può aumentare il deficit di pochi decimali rispetto a quanto deciso da Mario Draghi. Di reddito di cittadinanza si discuterà ancora oggi: il partito di Giorgia Meloni, che in campagna elettorale aveva promesso la sua abolizione, dovrà accontentarsi di piccoli ritocchi. A insistere per modifiche è Forza Italia. Non ci sarà nemmeno la riduzione a una delle proposte di lavoro rifiutabili prima di perdere il sussidio. Il partito di Berlusconi chiede però di innalzare il periodo di sospensione previsto ogni 18 mesi, oggi limitato a trenta giorni: l’obiettivo è risparmiare fino a un miliardo di euro degli otto dedicati ogni anno al sussidio.

Il capitolo pensioni avrà lo stesso destino, nonostante le pressioni di Matteo Salvini. Per evitare il ritorno alla legge Fornero e all’uscita per tutti a 67 anni che scatterebbe il primo gennaio potrebbe essere introdotta «quota 103», somma dei requisiti anagrafici e di età. Anche in questo caso il problema sono le risorse: la sola rivalutazione degli assegni ai pensionati del 7,3%, imposta dall’inflazione a due cifre, costerà 50 miliardi in tre anni.

Resta da mettere l’ultima parola sulla tassa piatta per i lavoratori autonomi: in campagna elettorale Salvini aveva promesso l’innalzamento della soglia fino a centomila euro, nella migliore delle ipotesi il tetto salirà a 85mila, ventimila euro sopra l’attuale. Nella maggioranza si è valutata anche la cosiddetta «tassa incrementale» per chi dichiara cifre superiori all’anno precedente, ma è piuttosto costosa.

Per le imprese si dovrebbe poi anche prevedere la possibilità di rateizzare le bollette a fronte dell’impegno di non trasferire l’attività all’estero e di non licenziare. Poi ci saranno la proroga del taglio del 2% del cuneo fiscale, gli sgravi su rinnovi contrattuali e premi aziendali, l’estensione della cedolare secca del 10% sugli affitti commerciali, la riscrittura del prelievo sugli extraprofitti la cui aliquota potrebbe salire dall’attuale 25% al 33%.

Il cantiere è aperto. E Matteo Salvini ieri ha confermato che nella nuova legge di bilancio verrà inserita anche una norma che interrompe le procedure per lo scioglimento della società Ponte sullo Stretto. L’obiettivo, ha spiegato, «è che nell’arco della legislatura inizino i lavori, nessuno può promettere un ponte in cinque anni soprattutto con una campata unica da 3,3 chilometri». L’idea è di poter partire nell’arco di due anni e per questo il 5 dicembre Salvini andrà a Bruxelles «per chiedere che l’Europa faccia la sua parte, partecipi al finanziamento di un progetto che è europeo, quella non è la Messina-Reggio Calabria ma la Palermo-Berlino».

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