In Italia l’immigrazione non è l’emergenza più importante. Lo testimoniano i dati. Il numero di stranieri residenti ha superato i 5 milioni nel 2015, oscillando poi su livelli medi poco superiori a questa cifra, arrivando nel 2021 a 5 milioni e 172 mila unità.
Sono ormai lontani i tempi in cui il numero di immigrati cresceva di varie centinaia di migliaia all’anno.
Non solo, anche a livello di composizione non vi sono molte variazioni rispetto a quanto accade nei Paesi vicini dell’Europa occidentale: la proporzione di immigrati provenienti da Stati con un indice di sviluppo basso, quindi di solito quelli più difficili da integrare, è del 12,1 per cento, mentre sale al 18,9 per cento in Francia, al 29,5 per cento in Svezia, al 29,4 per cento in Grecia. Anche calcolando quanti vengono da realtà con uno sviluppo medio non si raggiunge la metà dei migranti residenti.
Al contrario di quanto accaduto in Germania, Francia, Spagna, dal 2014 in poi non c’è stato un aumento degli stranieri più giovani, quelli che secondo alcuni media generano più allarme sociale tra la popolazione. Tra il 2014 e il 2020 i 25-29enni sono diminuiti di 100 mila unità, i 20-25enni di 11 mila. Quelli residenti in Germania, invece sono cresciuti rispettivamente di 440 e di 351mila.
Insomma, in Italia anche gli immigrati invecchiano.
A contribuire a questi numeri è il dato delle richieste di asilo: 584mila tra 2014 e 2021, mentre in Francia, sono arrivate a 827mila e quelle rivolte a Berlino addirittura a due milioni e 310mila.
Tutto bene quindi? No. La narrazione minimizzante sarebbe fuori luogo quasi quanto quella allarmista.
Gli elementi che rendono la percezione del fenomeno migratorio più negativa nel nostro Paese che in altri esistono e sono molteplici. Certamente la cattiva politica, che usa questo tema in modo totalmente strumentale, è uno di questi. Ma c’è molto altro.
Un peso ce l’ha quel declino relativo che caratterizza l’economia italiana da 25 anni, in cui, per esempio, i salari sono rimasti fermi. Si è meno accoglienti a pancia vuota, per dirlo in modo greve. E poi ci sono alcune caratteristiche intrinseche dell’immigrazione in Italia che portano l’opinione pubblica a percepirla ancora con timore, se non fastidio e intolleranza.
Prendiamo proprio le richieste di asilo, per esempio. Un dato non secondario è il fatto che oltre alle domande dirette rivolte alle autorità italiane ci sono anche quelle di ricollocamento nel nostro Paese di quanti vengono trovati nel resto d’Europa ma che hanno avuto l’Italia come luogo di primo ingresso. Sono gli immigrati che i nostri vicini, in particolare tedeschi, francesi e austriaci, vogliono “restituirci”: 265mila persone in otto anni, centomila in più di quelli destinati a tornare in Germania e il quadruplo di quelli che sarebbero dovuti essere inviati in Francia.
A prescindere dal fatto che questi trasferimenti da un Paese all’altro siano avvenuti, tali numeri indicano come in Italia sia maggiore il fenomeno dei migranti che sfuggono al conteggio e al controllo ufficiale sperando di espatriare, muovendosi da irregolari, spesso in condizioni di degrado. Un degrado che viene percepito sul territorio
Non solo, gli immigrati che riescono realmente a integrarsi e raggiungere un tenore di vita simile a quello dei locali in Italia sono ancora pochi. La ghettizzazione e la concentrazione in professioni malissimo pagate, in cui vengono sfruttati, non genera solo povertà, ma anche una separazione dal resto della popolazione.
Un indicatore di quanto accade, tra gli altri, è la percentuale di laureati tra gli italiani e gli stranieri più giovani, quelli che stanno iniziando la propria vita lavorativa.
Ebbene, nonostante il nostro Paese non brilli per livello di istruzione, e ad avere un titolo universitario sia solamente il 31 per cento dei 25-34enni, si tratta comunque di una proporzione molto più ampia di quella degli immigrati delle stessa età con una laurea, solo l’11,2 per cento nel caso degli extracomunitari. La stessa percentuale è del 26,1 per cento in Spagna, del 32 per cento in Germania, addirittura del 46,6 per cento e del 54,1 per cento in Francia e Paesi Bassi.
Vuol dire che in questi due ultimi casi gli immigrati provenienti da Paesi extra europei si laureano più degli italiani autoctoni!
Non stupisce il fatto che pochissimi stranieri possano accedere a professioni pagate in modo dignitoso. O anche a una professione qualsiasi.
Un altro dato inquietante è quello che riguarda il tasso di occupazione dei recent immigrants (definizione di Eurosta), ovvero le persone arrivate in Italia da pochi mesi o un anno. In Italia sono solo il 31,7 per cento: è la percentuale più bassa in Europa. La media UE è del 48,2 per cento, in Germania, dove pure il flusso è molto maggiore, sale al 48,7 per cento, mentre nell’Est Europa e in Irlanda dove l’immigrazione è di altra origine, è superiore al 60 per cento.
Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile per gli stranieri appena arrivati in Italia trovare un impiego: dieci anni fa ci riusciva più del 40 per cento.
Questi numeri indicano come il fenomeno migratorio in Italia sia diverso da quello che caratterizza altri Paesi occidentali perché è contraddistinto da un livello di disagio maggiore che sfocia magari in accattonaggio e degrado, e che rende nell’immaginario di molti l’immigrato come una figura ai margini, per alcuni da guardare con sospetto.
Siamo ancora lontani dall’avere dei portfolio manager, sviluppatori, tecnici informatici di origine africana o asiatica, come è normale trovare a Londra e Parigi.
La condizione della comunità straniera ha delle conseguenze, su di essa e sulla percezione che di questa ha l’italiano medio.
Che piaccia o no ai più allergici alla società multiculturale, che si blocchi in modo selettivo qualche nave tra le tante che continueranno sempre ad arrivare sulle nostre coste, gli immigrati, i pochi migranti che ancora arrivano via mare sono qui per restare e diventare gradualmente italiani. È nell’interesse di tutti che questo possa avvenire il più velocemente possibile, senza passare per anni di emarginazione e indigenza. Soprattutto per coloro che più di tutti temono uno straniero povero e disperato.