Dal Sud, dove il Partito democratico è stato surclassato dal Movimento 5 stelle, arriva un drammatico j’accuse: «Un isolamento come questo nella nostra storia non c’è mai stato. Un conto era un Partito comunista italiano isolato al 34% un conto è oggi. Isolato al 20%, senza leadership morali, dominato dai padrinati locali come la peggiore Democrazia cristiana, ma senza la sua capacità espansiva. Si sta sgretolando un mondo senza che vi siano opzioni alternative, senza un gruppo dirigente in grado di cogliere queste sfide». Vista da Napoli, con gli occhi di Isaia Sales – saggista, storico dirigente del Pci, poi dei Ds, consigliere economico di Antonio Bassolino e sottosegretario al tesoro con Prodi – la crisi del Pd sembra irreversibile.
Quella che a livello nazionale è una sconfitta politica nel sud è una vera e propria catastrofe esistenziale.
Del resto, perdere tutti i collegi uninominali, pur governando regione e comune, lasciare il passo al M5S, è un disastro totale: «Il risultato del voto è inequivocabile, chiaro, esplicito. Il Pd in Campania è al 15,6 5, surclassato dai cinquestelle. L’Italia è divisa e il disagio sociale si colloca soprattutto al sud. Quel voto dice: abbiamo ricevuto un segnale di attenzione a questo disagio con il reddito di cittadinanza e temiamo che possa scomparire. Se il Pd non rappresenta la sinistra c’è qualcun altro che lo farà. Per fortuna, dico io. Ci sono delle esigenze che vanno rappresentate. Il fatto che le rappresenti qualcun altro dimostra che c’è uno spazio che il Pd, con la sua storia, avrebbe tutti i titoli per rappresentare Gli elettori del M5S sono parte del nostro mondo, non sono nemici da trattare con atteggiamento cinico e invece il Pd è diventato il partito delle élite contro cui si dirige la rivolta. Anche nel 1968 il Pci era al centro dell’attacco del movimento, ma poi si aprì a quella rivolta e tenne quella spinta dentro la cornice della sinistra».
L’altro tarlo che divora il Pd è il modo di esercitare il potere. Due governatori vincono a man bassa le elezioni regionali, me nelle loro regioni il Pd alle politiche si schianta. Michele Emiliano in Puglia ha dichiarato: «Chiediamo all’elettorato di scegliere collegio per collegio quello che ritengono con più possibilità non importa se al Pd o ai cinquestelle». Dal momento che nessun dirigente del M5S ha fatto dichiarazioni analoghe, si tratta di un disarmo unilaterale, un esplicito invito a votare per un partito che è un avversario elettorale. Vincenzo De Luca a Napoli si è risposto da solo: «Perché votare il Pd? È un partito di anime morte. Autentiche nullità, imbecilli che vengono a rompere le scatole a noi che lavoriamo». Con queste premesse poste dai due più popolari leader del Pd in quelle due regioni, c’è da stupirsi che i dem non siano scesi sotto la doppia cifra.
Ma anche per questo c’è tempo, visto quel che è accaduto dopo le elezioni. In Campania il governatore vuole modificare la legge elettorale per consentirgli di correre per il terzo mandato consecutivo, mentre il figlio Piero è diventato vicepresidente dei deputati dem: «Ti chiediamo: come pensi di sostenere le ragioni del sud e al tempo stesso tollerare questa deriva regional-sovranista, clientelare, familistica, affaristica?» ha scritto a Enrico Letta un gruppo di intellettuali napoletani. «Risalendo indietro fino alle più remote formazioni politiche, noi troviamo dappertutto anche la regia personale del signore: attraverso uomini che dipendono direttamente dalla sua persona — schiavi, funzionari domestici, servitori, ‘favoriti’ personali e beneficiari remunerati in natura o in denaro dalle sue casse private — egli cerca di mantenere l’amministrazione nelle proprie mani», queste parole di Max Weber nella famosa conferenza “La politica come professione” tenuta a Monaco nel 1919, sembrano risuonare nella spietata diagnosi di Sales: «La famiglia De Luca va considerata azionista di maggioranza del Pd, gode di alta considerazione da parte del segretario e del gruppo dirigente nazionale, hanno legittimato delle satrapie e le chiamano buon governo del sud. Un ritorno alle modalità di fine Ottocento basate sul notabilato, sul familismo, sul trasformismo».
Cerco di capire meglio chiedendo lumi a Gennaro Acampora, capogruppo del Pd al comune di Napoli: «Negli ultimi anni il Pd a livello nazionale e dirigenza non ha parlato al sud al quale si è rivolto il M5S con parole chiare, come quelle sul reddito di cittadinanza. E poi i candidati sono stati calati dall’alto, estranei ai territori. Si è addirittura verificato che due figure molto forti in città come Sandro Ruotolo e Paolo Siani siano state invece candidate in provincia. Non avremmo vinto i collegi, ma avremmo certamente avuto un risultato diverso nel proporzionale. L’attuale gruppo dirigente ha perso le elezioni e non ha portato alcuna innovazione nella politica italiana». E quindi cosa dovrebbe essere il Pd? «Penso che debba essere la guida di un campo alternativo alla destra partendo dall’alleanza con il M5S».
«Il problema non è allearsi con il M5S, ma se il Pd torna o no a occuparsi dei diritti fondamentali: il lavoro, il diritto ad abitare, l’istruzione, la sanità. Noi qua a Scampia ce ne occupiamo e così riusciamo a parlare anche a quelli che generalmente del Pd non vogliono sentire parlare. E infatti a Scampia alle politiche siamo il secondo partito dopo il M5S», dice Mimmo Morfe, 37 anni, infermiere, segretario del circolo del Pd di Scampia, il quartiere delle Vele, simbolo del degrado di Napoli, con un tasso di disoccupazione al 70%, ma anche simbolo di una speranza di riscatto alimentata da uno straordinario attivismo civico troppo spesso del tutto sconosciuto ai vertici di un partito che è quello che abbiamo descritto. È proprio da quel mondo che viene Mimmo: «Io sono nato e cresciuto qui e ho deciso di far crescere qui anche i miei figli. Il partito a livello metropolitano è dominato da individualismo e correntismo e quando parlo in quel contesto avverto che non mi possono capire, ma accetto la sfida e dico la mia».
(Terzo di una serie di articoli)