Ed è così in pratica arrivata la prima condanna per quella che la narrazione filo-Putin ha definito «le quattordicimila vittime del genocidio del Donbas». O anche quindicimila o sedicimila: dall’attacco all’Ucraina di febbraio la cifra ha teso a lievitare. Solo che a ricevere l’ergastolo sono stati tre putiniani, e tra di loro due cittadini russi.
La cifra relativa alle vittime, infatti, si riferisce a tutti i morti nel conflitto iniziato dal 2014, inclusi i soldati ucraini, ed inclusi anche le 298 persone che si trovavano a bordo del volo Mh17. Il Boeing 777-200ER della Malaysia Airlines che si trovava in volo tra Amsterdam e Kuala Lumpur e che il 17 luglio 2014 fu abbattuto da un missile terra-aria lanciato da un sistema Buk delle forze secessioniste russe filo-russe mentre sorvolava la zona orientale dell’Ucraina.
Tra le vittime, 283 passeggeri e quindici membri dell’equipaggio. Il velivolo perse i contatti con gli enti del controllo del traffico aereo a circa cinquanta chilometri dal confine tra Ucraina e Russia e precipitò in prossimità dei villaggi di Hrabove, Rozsypne e Petropavlivka nell’Oblast’ di Donetsk: in Ucraina, ma a quel tempo controllato da forze secessioniste filorusse.
Un tribunale olandese ha condannato all’ergastolo in contumacia due cittadini russi e un ucraino, spiegando «che solo la massima pena è una sentenza appropriata alle conseguenze di tali atti per cui condanna all’ergastolo i tre imputati». Secondo la Corte, «frammenti del missile Buk trovati nei corpi delle vittime sono prova inconfutabile del fatto che fu questo missile a causare l’abbattimento del volo».
«Un decisione importante, la punizione per tutte le atrocità russe – sia allora sia adesso – sarà inevitabile», ha twittato Zelensky su Twitter. E il primo ministro olandese Mark Rutte: «Il verdetto della corte sul processo Mh17 era atteso da tempo. È un fatto positivo che questo punto sia stato finalmente raggiunto. Questo è un altro passo nella ricerca della verità e della giustizia per le vittime e i loro cari. Ma è anche un altro giorno difficile e angosciante per molti familiari e amici delle 298 persone che hanno perso la vita in quel terribile giorno, il 17 luglio 2014. E per quanto importante sia questo verdetto, non è la conclusione finale. Non è la fine. Tutte le parti hanno ancora il diritto di presentare ricorso».
Ovviamente la Russia non consegnerà nessuno, perché definisce il verdetto «politico» e «scandaloso».
La sentenza attesta che il conflitto nel Donbas non è una rivolta interna ma un conflitto internazionale fomentato dal Cremlino: il che vuol dire che l’invasione dell’Ucraina inizia in realtà nel 2014, e da febbraio c’è solo un secondo tempo. Certo, molto più sanguinoso. Afferma infatti non solo che i cittadini russi Igor Girkin e Sergej Dubinsky sono responsabili, ma anche che la Federazione russa controllava le forze separatiste del Donbas, durante l’abbattimento del volo Mh17. E anche prima.
Il testo della sentenza al capitolo 4.4.3.1.3, «Natura del conflitto armato», conclude infatti che la Federazione russa ha esercitato il controllo sull’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk almeno da metà maggio 2014.
La narrazione del «genocidio» è stata montata dalla propaganda putiniana apposta per dare copertura propagandistica a questa operazione. In realtà, la missione dell’Osce che ha monitorato la situazione in Ucraina dal 2014 fino al 31 marzo 2022, non ha mai riscontrato evidenze che provassero l’esistenza di uno «sterminio sistematico della popolazione del Donbass» da parte di Kyjiv.
Da dove saltano fuori allora le «quattordicimila vittime»? In effetti, tra le 14.200 e le 14.400 sono tutte le vittime contate dall’Onu nella regione tra 6 aprile 2014 e 31 dicembre 2021. Ci sono 3404 civili, tra cui 306 stranieri, di cui i 298 del Malaysia Airlines Flight 17. In questo senso è arrivata la «prima condanna per il genocidio». E poi 4400 militari e paramilitari ucraini: 4641 per il Museo di Storia Militare ucraino, che però conta fino al 23 febbraio.
Si contano poi 6517 miliziani filorussi, anch’essi contati fino al 23 febbraio integrando le cifre Onu con quelle delle stesse milizie. E tra quattrocento o cinquecento soldati russi tra 6 aprile 2014 e 10 marzo 2015, secondo il Dipartimento di Stato americano. La Russia negava la loro presenza, ma qua abbiamo appunto una prima condanna.
L’Osce ulteriormente osserva che tra primo gennaio 2017 e 15 settembre 2020 ci sono state 946 vittime civili: 657 nelle aree controllate dai filorussi. La maggior parte per bombardamenti, ma ottantuno per mine, e centocinquanta per tentativi di disinnescare ordigni non esplosi da parte di civili senza competenze.
Come ricorda peraltro l’ex corrispondente di Newsweek da Mosca Owen Matthews nel suo recente libro “Overreach: The Inside Story of Putin and Russia’s War Against Ukraine” negli ultimi anni «il bilancio delle vittime degli sporadici combattimenti lungo il linea di controllo nel Donbas era molto minore che non prima, durante i pesanti combattimenti all’inizio della guerra – nel 2017 c’erano stati sessanta morti e 308 feriti da entrambe le parti, nel 2018 cinquantuno morti e 304 feriti, nel 2019, trentasei morti e 129 feriti».
Zelensky si insediò alla presidenza il 20 maggio 2019: altro particolare crassamente ignorato da una massa di putiniani beoti secondo i quali sarebbe stato al potere dal 2014 dopo essere stato il leader della rivolta di Maidan. Dopo di allora, osserva sempre Matthews, il numero delle vittime era «scesa a una cifra sola».
Insomma, non c’era nessuna emergenza «umanitaria» che potesse giustificare un’invasione nata evidentemente per ben altre motivazioni.