Il bilancio della guerraLe sanzioni stanno prosciugando le finanze russe

Il Cremlino ha stilato una previsione economica per il 2023 che non tiene conto del costo del conflitto. Un’indagine Reuters prevede una contrazione del 2,5 per cento del Pil, la Banca Mondiale addirittura del 3,6 per cento

AP/Lapresse

«Le sanzioni sono destinate a far saltare in aria le finanze della Russia». Così la Reuters titola un servizio che arriva dalla stessa Russia: a firma di Darya Korsunskaya, e con l’avvertenza che «questo contenuto è stato prodotto in Russia, dove la legge limita la copertura delle operazioni militari russe in Ucraina».

«Il costo della mobilitazione militare russa e l’impatto delle sanzioni occidentali sono destinate a far saltare in aria le previsioni di bilancio del governo e portare le riserve di Mosca al livello più basso degli ultimi anni, secondo gli ultimi calcoli degli analisti», è la tesi. E ciò mentre Putin ha non solo il problema di dover sostenere una guerra di cui diventa per lui sempre più complicato intravedere una soluzione positiva, ma anche di doversi fare rieleggere nel 2024.

Vero che le elezioni in Russia con lui al potere si sono fatte man mano sempre meno competitive, ma comunque in passato Putin ha sempre corteggiato gli elettori con promesse di spendere più per salari, welfare e pensioni. Stavolta, poi, l’impatto del conflitto sta già avendo esiti imprevedibili, e un curioso attivismo da parte di Evgenij Prigozhin fa sospettare che lo «chef di Putin», patron sia della compagnia di ventura Wagner che della «fabbrica dei troll» Internet Research Agency possa addirittura approfittare della congiuntura per tentare una inopinata Opa sul Cremlino. Ad esempio, un sorprendente elogio di Zelensky. O l’apertura a San Pietroburgo di un nuovo grande centro della Wagner. «Un complesso di edifici con spazi per l’alloggio gratuito di inventori, designer, specialisti informatici, spazi per la produzione sperimentale e per le start-up». «La missione del Centro Wagner è quella di fornire un ambiente confortevole per la generazione di nuove idee per migliorare le capacità di difesa della Russia, comprese quelle informative. Se il progetto dimostrerà il suo successo e la sua rilevanza, valuteremo la necessità di aprire delle filiali». Una struttura anche per fare campagne elettorali?

Comunque, dopo otto mesi di quella che definisce una «operazione militare speciale», il Cremlino ha stilato un bilancio per il 2023 che secondo gli analisti non tiene conto né del costo del richiamo di trecentomila riservisti, né di quello dell’annessione di quattro regioni, né degli sforzi occidentali per limitare i prezzi delle esportazioni di energia russa. «La previsione macroeconomica, su cui si basa il budget, è stata calcolata prima della mobilitazione», osserva la analista indipendente Alexandra Suslina. «Non tiene conto delle nuove sanzioni e quindi non riflette la realtà».

Mercoledì, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha detto ai giornalisti che Putin non aveva ancora deciso se candidarsi nel 2024, ma ha aggiunto: «gli obblighi sociali dello Stato sono una priorità assoluta». Ora, le previsioni ufficiali russe stimano che il Pil scenderà dello 0,8 per cento il prossimo anno. Ma un sondaggio Reuters degli analisti prevede una contrazione del 2,5, e la Banca Mondiale del 3,6. Il ministero delle finanze russo a sua volta calcola che il disavanzo di bilancio il prossimo anno quasi raddoppierà, fino ad arrivare a tremila miliardi di rubli. Il 2 per cento del Pil. Ma gli analisti della banca statale Vtb sono anche più pessimisti, e arrivano a 4000-4500 miliardi.

Il governo russo continua a prevedere nel 2023 novemila miliardi di rubli di entrate energetiche, come prima della guerra. Un terzo del suo reddito totale. Ma secondo un economista di una società finanziaria occidentale si tratta di un quadro completamente fuori dalla realtà, dal momento che per via delle sanzioni l’anno prossimo l’export petrolifero dovrebbe crollare del cinquantacinque per cento. E quanto alle esportazioni di gas di Gazprom, tra gennaio e ottobre  sono già crollate del quarantaquattro per cento, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Anche per quanto riguarda le entrate non energetiche il ministero delle Finanze continua a sparare cifre come se guerra e sanzioni non ci fossero: nel 2023, 11,5 per cento del Pil. Circa il sette per cento in più rispetto a quest’anno, e alla pari con i livelli pre-pandemia. Come osserva però sempre Alexandra Suslina, «la domanda dei consumatori diminuirà, le persone acquisteranno meno, cose meno costose, di qualità inferiore – e quindi le previsioni sul reddito non energetico dovranno essere riviste». Inoltre la Russia questa settimana ha ufficialmente concluso quella che chiama la sua mobilitazione «parziale», con circa trecentomila riservisti richiamati.

E anche ciò danneggerà l’attività economica, per non parlare di tutti gli altri che per evitare il fronte sono espatriati. È uno studio congiunto dell’Accademia presidenziale russa Ranepa e dell’Istituto Gaidar a prevedere che Mosca potrebbe raccogliere circa mille miliardi di rubli in meno da quella versione locale dell’Iva che è il suo principale reddito non energetico.

Non solo i mobilitati non producono più. Devono anche essere pagati. Il direttore degli investimenti del broker moscovita Locko Invest, Dmitry Polevoy, stima che tra stipendi ed eventuali risarcimenti in caso di infortunio o morte ci saranno da spendere tra i novecento e i tremila miliardi di rubli nel solo prossimo semestre. Già The Moscow Times informa che oltre cento mobilitati russi sono entrati in sciopero nel loro centro di addestramento nella Russia centrale proprio per protestare per il mancato pagamento. Provenienti dalla Repubblica di Ciuvascia, i richiamati dicono la somma promessa di 195.000 rubli (3.170 dollari), e si rifiutano dunque di combattere in Ucraina fino a quando non saranno pagati. «Ci stanno mandando in guerra per pochi centesimi», ha detto uno di loro al sito di notizie 7×7. «Siamo stati ingannati».

Il ministro delle finanze Anton Siluanov, senza fornire dettagli, ha dichiarato la scorsa settimana ai legislatori russi che il bilancio «ci consente di adempiere a tutti gli obblighi sociali senza danneggiare la stabilità macroeconomica». Ma di fatto in questo momento il governo russo sta andando avanti con l’attingere al fondo sovrano National Wealth Fund (Nwf).

Di soldi in quel salvadanaio nei tempi delle vacche grasse ne sono stati effettivamente accumulati molti, ma entro la fine del 2023 si sarà comunque dimezzato: 6.250 miliardi di rubli, pari al 4,2 per cento del Pil, che sarebbero il livello più basso dal 2018. Secondo analisti della Università Finanziaria di Mosca, il rischio di un «prosciugamento» è concreto. «Le fonti per finanziare il deficit di bilancio sono ora più scarse che mai», sostiene Alexanra Suslina.

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