Troppo poco, troppo tardiLa comunità internazionale deve intervenire sul debito dei Paesi in via di sviluppo

Un recente studio del Programma Onu Undp rivela che la crisi degli Stati più poveri è tornata a essere ad alto rischio: senza un intervento urgente si rischia la catastrofe umanitaria, con emigrazioni incontrollate e guerre

Unsplash

Il debito dei Paesi più poveri tra quelli in via di sviluppo è tornato a essere ad alto rischio. Lo afferma il recente studio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) intitolato “Avoiding: too little, too late”, si fa troppo poco e troppo tardi per evitarlo. Lo studio si riferisce a Paesi che rappresentano quasi il diciotto per cento della popolazione mondiale e il cinquanta per cento delle persone che vivono in povertà estrema. Pur essendo ricchissimi di materie prime e di altre commodity alimentari, essi rappresentano un misero tre per cento del Pil globale.

Sarebbero 54 i Paesi in via di sviluppo che necessitano di una riduzione urgente del debito pubblico, pena una imminente catastrofe umanitaria, emigrazioni incontrollate e guerre di vario tipo: venticinque sono nella regione sub sahariana, dieci nell’America Latina e nei Caraibi.

L’aggravamento è dovuto al fatto che i suddetti Paesi emettono debito in dollari e, di conseguenza, subiscono le decisioni prese dagli Stati Uniti. Per esempio, l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed ha per loro un effetto negativo insostenibile. Da qualche tempo almeno diciannove Paesi pagano interessi superiori del dieci per cento rispetto a quelli dei Treasury bond.

Queste obbligazioni sono in caduta libera con un deprezzamento tra il quaranta e il sessanta per cento. Se si considerano tutte le economie in via di sviluppo, ben ventisei, circa un terzo, sono classificate «rischio sostanziale, estremamente speculativo o insolvenza».

Il peggioramento della loro situazione economica e sociale è confermato anche da un altro studio dell’Undp sul Multidimensional Poverty Index (Mpi). Tale indice analizza la povertà combinando il livello del reddito pro capite con i diversi aspetti della vita quotidiana di persone in povertà: l’accesso all’istruzione e alla salute e lo standard di vita come alloggi, acqua potabile, servizi igienici ed elettricità.

I dati di prima della pandemia e dell’impennata inflazionistica mostrano che 1,2 miliardi di persone in 111 Paesi vivono in condizioni di povertà multidimensional acuta. Questo è quasi il doppio del numero di chi è considerato povero perché ha un reddito inferiore a 1,90 dollari al giorno.

L’analisi evidenzia che oltre il cinquanta per cento delle persone povere (593 milioni) non ha elettricità e gas per cucinare; quasi il quaranta per cento dei poveri non ha accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici; più del trenta per cento delle persone povere è privato contemporaneamente di cibo, combustibile per cucinare, servizi igienici e alloggio.

La maggior parte delle persone povere multidimensional (83 per cento) vive nell’Africa sub sahariana (579 milioni) e nell’Asia meridionale (385 milioni).

L’Undp sostiene che la risposta del G20 sia del tutto inadeguata. Ricorda anche che, nella pandemia del 2020-2021, il G7 ha stanziato ben 16mila miliardi di dollari. Lo stesso Fmi potrebbe espandere le sue linee di credito e accelerare la ricanalizzazione dei diritti speciali di prelievo. Perciò, volendo, «i problemi di liquidità non sono ingestibili».

Lo studio propone il coordinamento dei creditori, compresi quelli privati, ​​e l’uso di clausole per le obbligazioni statali che mirino alla resilienza economica e fiscale. Si sostiene che in alcuni casi si debba cancellare il debito.

Oggi mancano le assicurazioni finanziarie dei principali governi creditori per raggiungere un accordo. Perciò si proporrebbero i cosiddetti Brady Bonds, obbligazioni della durata di trent’anni, sostenute da Treasury bond, emesse negli anni ottanta dai Paesi in crisi per finanziare il debito con le banche commerciali. Si ricordi il default dell’Argentina.

Il debito di questi Paesi è pesante per loro, non per il G20. Nel 2020, il debito dei 54 Paesi in considerazione (senza Argentina, Venezuela e Ucraina) era di 552 miliardi di dollari, 186 dei quali in mani private. Gli interessi ammontavano a sessantanove miliardi, qaurantadue dei quali dovuti a privati.

Il loro rapporto debito/Pil nel 2022 è del 66,3 per cento, sotto la media europea e di quello degli Stati Uniti. I Paesi poveri, però, non sono in grado di gestire il pagamento degli interessi e il rifinanziamento dei debiti.

Sono cifre enormi ma i Paesi ricchi potrebbero affrontarle. D’altra parte, lo si fa in supporto dell’Ucraina. Secondo l’Institute for the World Economy di Kiel, in Germania, dal 24 gennaio al 3 di ottobre sono stati dati aiuti militari, finanziari e umanitari all’Ucraina pari a 94 miliardi di euro, dei quali 52 dagli Stati Uniti e 29 dall’Unione europea.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club