Lessico famigliare contemporaneoL’amore pretende efficienza (e io non sono più un bravo esecutore)

Nel suo nuovo romanzo “Vite mie” edito da Mondadori, Yari Selvetella riflette sulla famiglia, sugli affetti e sul nostro rapporto con il tempo che passa. Talvolta una vita non basta a impararare ad amare, oppure l’abilità coltivata negli anni si dissolve misteriosamente e non rimane altro che un senso di inadeguatezza e di nostalgia

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In quegli anni, tornando a casa dopo l’ufficio, mi infilavo i pantaloncini, un paio di scarpe vecchie, e portavo i più grandicelli al campetto di Colle Oppio: ci sfidavamo con cal- 43 ci piazzati fuori area. Speravo che grazie a un corredo genetico non connesso al mio i bambini fossero più portati per il calcio, e invece niente, sembravano figli miei in tutto e per tutto: sollevavano polveroni a ogni colpo, spedivano il pallone fuori dal cancello o per la strada. Ci divertivamo, giocavamo per ore, sudati e col fiatone, poi compravamo ghiaccioli, all’arancia e al limone per loro, alla menta o amarena per me.

Oggi sulla strada del parco, con Micol, sbuffo o scorro sullo smartphone le timeline dei social network. Ripenso con sconcerto a un sabato notte di molti anni fa in cui, in preda a febbri gastriche, i figli diedero di stomaco tutti e tre nel giro di mezz’ora e io, appresso ai conati, porgevo loro un secchio e intanto pulivo quel lerciume inginocchiato sul parquet, mentre la madre al telefono chiedeva consigli a un pediatra. Oggi se uno dei ragazzi ha qualche linea di febbre mi incupisco, inizio a pensare al contagio che si diffonderà di figlio in figlio, e poi a noi, condizionandoci per intere settimane.

A volte, quando i ragazzi parlano, mi distraggo, afferro qualche concetto ma mi pare di perdere il punto, penso a quanto sono belli, osservo la trasparenza degli occhi, il controluce della finestra in salotto che illumina le loro labbra, e rabbercio qualche massima di saggezza così, come se d’improvviso tornassi in me, colto in fallo nel pieno di un pisolino. Non di rado mi comporto da abulico, so quello che andrebbe fatto ma non mi va.

Mi pesa tutto: portavo spesso al cinema i più piccoli, un tempo, ora rimando di mese in mese. Prima inventavo storie appositamente per loro, ora quasi mai. Non so nemmeno com’è successo che sia soprattutto Agata, anziché io, a comprare libri illustrati per Micol. In generale sono diventato più bravo ad accorgermi di quello che provo e molto meno bravo a dare seguito ai propositi che derivano dai sentimenti: l’amore pretende efficienza e io non sono più un bravo esecutore. Credo di riuscire, in un modo o nell’altro, a dare l’impressione di essere quello di sempre, ma sento che non è così.

Da Vite mie di Yari Selvetella, Mondadori, 252 pagine, 18,50 euro

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