Utopia ecologicaTutte le contraddizioni di The Line, la città a emissioni zero in Arabia Saudita

Dall’iper-sorveglianza all’inaccessibilità per le classi meno abbienti. Il gioiello urbanistico nel cuore del deserto si rivelerà un sistema chiuso, impossibile da replicare altrove e inutile per risolvere il problema delle migrazioni climatiche

LaPresse

Non ci sono strade, non ci sono auto e neanche emissioni: tutto quello che necessita di essere in qualche modo alimentato funziona con energia cento per cento rinnovabile. La natura è l’elemento preponderante di una città che si espande in larghezza per solamente duecento metri ma per centosettanta chilometri in lunghezza e per altri cinquecento metri in altezza. Una concezione urbanistica verticale che mette al centro tanto l’individuo e le sue esigenze quanto i criteri di eco-compatibilità ambientale.

Quello che, apparentemente, sembra un paradiso green, è in realtà un gioiello di innovazione urbana che sorgerà nel bel mezzo del deserto dell’Arabia Saudita. Sì, perché questo progetto enormemente ambizioso è finanziato dal principe ereditario Mohammed bin Salman, presidente fondatore di Neom che, da quello che si legge sul sito, «sarà una destinazione, una casa per le persone che sognano in grande e vogliono partecipare alla costruzione di un nuovo modello di vita, lavoro e prosperità sostenibili. Sarà un acceleratore del progresso umano, una visione di come potrebbe essere un nuovo futuro».

Questo nome, Neom, dal suono così retrofuturistico – non vi ricorda Matrix? – include infatti un progetto più ampio della singola città, che si chiamerà The Line e che sarà uno dei molti tasselli che comporranno questo microcosmo. Quando sarà a pieno regime, infatti, Neom ospiterà anche destinazioni turistiche e altre deputate allo sport, ma non solo: sarà una specie di incubatore per aziende e persone desiderose di contribuire alla fondazione di una nuova “società” estremamente avanzata dal punto di vista tecnologico e improntata alla sostenibilità.

Questo è già di per sé stridente, se si considera il fatto che questa nuova comunità sorgerà in Arabia Saudita, Paese che non è certo famoso nel mondo per essere illuminato dal punto di vista dei diritti umani, ma porta con sé anche considerazioni di altro tipo. Chi potrà accedere a questa società così (apparentemente) perfetta e green? Sul sito si legge che Neom sorgerà a sei ore di volo dal quaranta per cento del resto del globo, sarà dieci gradi centigradi più fresca rispetto al resto dei paesi del Gulf Cooperation Council (ossia Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), che potrà contare su energia solare perenne e che sarà immersa nella natura, anche non è specificato di che tipo (a giudicare dai rendering presenti sul sito sembrerebbe a tutti gli effetti trattarsi di deserto). Neom dopotutto verrà costruita nella provincia saudita di Tabuk, a nord del Mar Rosso e a est dell’Egitto.

Il cuore di Neom, The Line, sarà un modello di città verticale pensata per ospitare nove milioni di persone distribuite in un’area di trentaquattro chilometri quadrati: una proporzione difficile da concepire rispetto all’urbanistica alla quale siamo abituati. Per fare un esempio Londra, che nel 2022 ha sfiorato i nove milioni di residenti, ha una superficie di 1.572 chilometri quadrati. Rendere più efficiente lo spazio in verticale permette di abbattere l’impronta infrastrutturale perché, in una superficie tanto ristretta, tutte le facilities sono raggiungibili con una passeggiata di cinque minuti a piedi o tramite l’utilizzo di un treno ad alta velocità in grado di percorrere la città da un capo all’altro in venti minuti.

Gli ingegneri e gli urbanisti dietro a Neom lo chiamano zero gravity urbanism e consiste in buona sostanza nello stratificare le funzioni della città in verticale, dando alle persone la possibilità di muoversi in tre dimensioni: verso il basso, verso l’alto o in diagonale, dove però in questi spostamenti non si trovano solo abitazioni o uffici, come nel caso del grattacieli di New York, ma anche verde urbano, scuole, aree pubbliche pedonali e tutto quello che serve in una città: cinema, teatri, palestre, ambulatori medici. Il viaggio più lungo che si potrà compiere all’interno di The Line è da un capo all’altro della città, e avrà una durata di venti minuti, tutti gli altri verranno resi efficienti al massimo grazie alla mobilità incrociata con l’intelligenza artificiale.

Nelle smart city del 2022, come Vienna o Londra, grazie ai dati raccolti sui cittadini e le nuove tecnologie sono stati migliorati moltissimi aspetti, come ad esempio la viabilità, ma solo l’uno per cento delle informazioni viene utilizzato a questo scopo: The Line utilizzerebbe il novanta per cento dei dati dei suoi abitanti per perfezionare l’infrastruttura della città, niente più inquinamento, niente più incidenti stradali. Un confine molto labile tra funzionalità e controllo capillare. Quale sarà il contrappasso per una città a misura d’uomo? E chi sarà in grado di godere di questo gioiellino urbanistico e green? È un progetto scalabile e replicabile in tutte le zone desertiche o “vuote” della terra?

Sono tutte domande che pongono degli interrogativi sul senso profondo di progetti come questo: sicuramente impressionanti sulla carta e probabilmente realmente piacevoli se uno ci dovesse vivere, ma quanto equi da un punto di vista sociale? Se, in certe zone di Milano neanche troppo centrali, le case sono arrivate a costare seimila euro al metro quadro, quanto potrà essere accessibile trasferirsi a The Line o in un’altra delle futuristiche località di Neom? Chi potrà permettersi un bilocale a The Line? Di certo non una famiglia yemenita, piegata da decenni proprio dai bombardamenti sauditi, ma neanche un lavoratore medio milanese. Sarà un hub e un incubatore di tecnologie e innovazioni incredibili pensato per super ricchi?

In un pianeta sempre più minacciato dai cambiamenti climatici saranno in molti a dover abbandonare le proprie terre. Il rapporto della Banca Mondiale Groundswell stima che nel 2050 i migranti climatici potrebbero essere 216 milioni: quindi ha pienamente senso pensare a dei modelli di città alternativi a quelli che conosciamo, ma un’operazione titanica come Neom, quanto potrà essere replicabile e scalabile in modo che ne possa beneficiare la società nel suo complesso e non solo nove milioni di privilegiati a fronte degli otto miliardi di persone che popolano oggi la terra?

La zona che rischia di più, con ottantasei milioni di probabili migranti climatici, è l’Africa subsahariana. Seguono l’Asia orientale e meridionale, il Nord Africa e il Sud America. Quanto all’Europa orientale e all’Asia centrale, è possibile che si arrivi alla cifra di cinque milioni di migranti. In uno scenario del genere, è gioco forza immaginarsi delle città più funzionali, meno dispendiose dal punto di vista energetico e più in armonia con il pianeta.

I rendering di The Line sono stupefacenti, ma tutto fa pensare fuorché a un sistema aperto o in possibile espansione: di quanti The Line avremmo bisogno nel mondo per poter vivere tutti in una città pensata e costruita sulle esigenze umane e non su quelle economiche? Le informazioni e le tecnologie che abbiamo a disposizione per mettere in pratica soluzioni (in potenza) positivamente impattanti per l’ambiente andrebbero forse indirizzate veramente verso la costruzione di un “mondo migliore”, che sia anche accessibile, libero e privo di disuguaglianze.

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