«La priorità di chiunque abbia una visione e una responsabilità sociale deve essere aiutare i poveri e tutti coloro che stanno pagando il prezzo più alto della crisi: vale per il governo e i parlamentari, vale per le aziende che stanno facendo utili e devono dare più soldi ai lavoratori, come abbiamo fatto noi stanziando 75 milioni di euro per bonus ai dipendenti». Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, il banchiere più importante del Paese, rilascia un’intervista alla Stampa in cui difende il reddito di cittadinanza, mettendo in guardia il governo sulla definizione di «occupabili» contro il rischio di tensioni sociali, e attacca i condoni fiscali «che rappresentano il peggio». Ma mostrandosi ottimista per il futuro dell’Italia. Certo, ammette Messina, uno come Draghi in Europa «non ce l’ha nessuno: né la Francia né la Germania. Ma non dobbiamo pensare che ora in altri Paesi ci sono i campioni del mondo rispetto a casa nostra. Il nostro governo non sfigura rispetto a quelli guidati da Schulz o da Macron».
Sui conti correnti di Intesa Sanpaolo «si svolge gran parte delle transazioni del Paese» e «al momento non vediamo segni di recessione, ma solo di rallentamento», spiega Messina. «Produrre costerà di più e bisogna prepararsi. Il trend è chiarissimo: potremo avere una fase di rallentamento o recessione tecnica, ma il mondo non finisce. Diamoci delle prospettive positive: se continuiamo a evidenziare le sole difficoltà non vorrei che si finisse per alimentare una profezia negativa. Ricordiamoci che l’Italia cresce più di Germania e Francia, le imprese sono competitive e innovano, il sistema bancario è forte. Il nostro Paese può e deve giocarsela, ma ognuno deve fare la propria parte senza aspettare la manovra del governo per dire cosa avrebbe fatto di diverso. E senza trascurare chi si trova in difficoltà, una parte crescente delle nostre famiglie».
Per l’ad di Intesa Sanpaolo, l’urgenza è superare i prossimi sei-sette mesi, che saranno ancora duri. Poi l’economia si allontanerà progressivamente dall’incubo della guerra e ripartirà. La priorità ora però – ribadisce il banchiere – è «prendersi cura dei poveri, che oggi sono milioni: è la priorità assoluta per governo e aziende, chiunque abbia una visione e una responsabilità sociale deve fare la propria parte. Venendo alla manovra, il 60% del nostro debito pubblico è in mano a investitori stranieri e Bce: non ci sono grandi margini di azione per il governo se si usano buonsenso e ragionevolezza come la presidente Meloni e il ministro Giorgetti stanno facendo. Non c’è spazio per fare altro debito. È stata giustamente varata una manovra che ha tranquillizzato i mercati, l’Europa ha capito che si è scelta la continuità. Le misure sull’energia erano indispensabili, il taglio al cuneo è positivo, c’erano pochi margini per fare di più. Avrei spinto di più su misure per favorire investimenti e innovazione delle imprese. Nel complesso è una manovra ragionevole».
Diverso il giudizio di Messina, però, sulle misure introdotto dal governo in merito al reddito di cittadinanza: «Ho sempre sostenuto il Reddito, perché c’è un forte tema di povertà ed equilibrio sociale da tutelare. Ora dobbiamo porre attenzione alla definizione di “occupabili”: se poi non lo sono davvero e non possono avere altre fonti di sostentamento, si rischiano davvero forti tensioni sociali. Rispetto agli occupabili è giusto fare una riflessione: è ovviamente meglio offrire un lavoro che un sussidio, ma bisogna capire chi davvero sia in condizioni di età e formazione tali da divenire occupato».
Il banchiere è anche critico sulle scelte riguardanti il tetto del contante e i Pos: «Il futuro è il digitale, non il contante: è questa la direzione in cui andare. L’evasione è una piaga, che tra l’altro incide negativamente sul rapporto debito/Pil». E poi «bisognerebbe ragionare bene sui capitali all’estero», ovvero – spiega – «sarebbe equo far sì che quei soldi vengano investiti in titoli di Stato italiani. Hai due miliardi all’estero? Uno lo investi in titoli del tuo Paese. Così come dovrebbero investire maggiormente in titoli di Stato quei fondi pensione che allocano il 90% delle risorse all’estero. Mentre assistiamo a casi in cui aziende straniere comprano quelle italiane grazie anche ai nostri risparmi».
Quanto al Superbonus, «parte dell’aumento del Pil arriva da questa misura, ma non la farei proseguire, al di là degli aspetti che non hanno funzionato. Non può essere una leva strategica di crescita. Tra l’altro più la cessione dei crediti va avanti, più assomiglia ad una moneta parallela».
Più complessa la questione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, mentre sta crescendo il timore che non riusciremo a rispettare i temi previsti dagli accordi presi con l’Ue. Messina spiega che «la burocrazia rende il sistema-Italia non adatto a spendere quei fondi in fretta, chiunque sia al governo. È la macchina a non essere costruita per andare veloce, specie quando si scende dal livello centrale a quello locale. Ci dobbiamo concentrare sui progetti che possiamo affidare a operatori capaci di realizzare progetti in tempi rapidi, come le Ferrovie e Webuild, o come si è visto ad esempio a Genova. Dobbiamo puntare su ciò che si può realizzare in fretta e dare una spinta al Pil e, dall’altra parte, cercare di rinegoziare quegli interventi non realizzabili nell’immediato e che magari potremo concludere nei prossimi anni».