Il primo problema della manovra economica del governo Meloni è stata «la tempistica: Giorgetti ha avuto appena tre giorni». Il secondo «è quello di una classe dirigente nei ministeri e in ogni settore della macchina burocratica che va cambiata in profondità. Non si può pensare di fare politiche nuove e diverse se nei posti chiave tieni funzionari che hanno mentalità vecchie o servono ideologie di cui noi rappresentiamo l’alternativa».
Sono le parole del ministro della Difesa Guido Crosetto in un’intervista al Messaggero, in cui spiega i ritardi della legge di bilancio, il cui voto definitivo in Senato è slittato a domani dopo la protesta delle opposizioni. Per il co-fondatore di Fratelli d’Italia, il problema certo riguarda anche «l’inesperienza» della classe parlamentare. Ma – dice – bisogna mandare via i burocrati capaci di dire soltanto no. Il riferimento è ai tecnici del Mef e della Ragioneria dello Stato che più volte hanno fatto le pulci alle coperture del ddl bilancio.
La direzione dunque è quella di uno spoil system massiccio. «Il termine scade a fine gennaio», spiega il ministro. «Di certo non è facile sostituire le burocrazie esistenti. Perché alcune persone sono di grande valore. E perché la macchina amministrativa deve andare avanti e non puoi fermarti mandando subito via i funzionari di cui non ti fidi o che hanno idee diverse dalle tue. Ci vuole un po’ di tempo. Ma bisogna avere il coraggio di fare queste scelte, mentre in alcuni ministeri c’è il timore di prendere decisioni che invece vanno prese per rimettere in moto il Paese. Serve coraggio. Bisogna tagliare con il machete alcune catene che bloccano lo sviluppo dell’Italia: ora ci vogliono 17 anni per realizzare un’opera pubblica, dovranno diventare quattro o cinque al massimo».
Il machete, prosegue Crosetto, va usato «contro chi nelle amministrazioni pubbliche si è contraddistinto per la capacità di dire no e di perdere tempo. Se non mandiamo via queste persone, facciamo un danno al Paese. E noi non abbiamo vinto le elezioni per danneggiare l’Italia». In più, aggiunge Crosetto mandando qui e lì qualche messaggio in codice, «al contrario degli altri, potremmo cambiare in quanto noi non abbiamo fatto nulla perché qualcuno possa ricattarci. Noi non abbiamo mai fatto affari e non gli abbiamo promesso nulla. Insomma, non abbiamo un passato che ci rende difficile intervenire: coloro che vogliono salvare l’Italia da un declino mortale andranno tenuti, per altri bisogna avere il coraggio di cambiare. Punto. Sono certo che Giorgia Meloni la pensa come me».
Come spiega La Stampa, la prima decisione delicata per Giorgia Meloni riguarda il direttore generale del Tesoro, forse il più importante dei funzionari dello Stato: la maggioranza chiede all’unisono la rimozione di Alessandro Rivera, ma il ministro Giancarlo Giorgetti gli fa scudo.
Di qui a primavera per la premier si apre la stagione delle nomine: almeno settanta, per citare le più importanti. Per Meloni, prima donna e primo leader della destra alla guida del governo, sarà uno stress test di tenuta politica, dentro e fuori il palazzo. Il caso di Rivera è emblematico perché fin qui a suo favore ha prevalso la difficoltà a trovare un’alternativa valida. L’unico nome fin qui circolato per la successione a Rivera è quello di Antonino Turicchi, nel frattempo (e non a caso) scelto da Giorgetti per la presidenza di Ita.
Il passaggio successivo in ordine di tempo saranno i vertici di quattro enti pubblici: Agenzia delle Entrate, delle Dogane e del Demanio, la presidenza dell’Inps. Ernesto Maria Ruffini è uno dei pochi che potrebbe salvarsi dal gran rimescolamento.
Sono invece scontate le sostituzioni di Marcello Minenna e Alessandra Dal Verme. Il primo è considerato troppo vicino ai Cinque Stelle. Fra aprile e maggio dovrebbe scadere invece il mandato del presidente dell’Inps Pasquale Tridico, noto come il padre del reddito di cittadinanza. Anche in questo caso la sostituzione è quasi certa, salvo che per un problema non banale di forma. Tridico, voluto da Luigi Di Maio nella primavera del 2019, è rimasto quasi un anno alla guida dell’Istituto di previdenza senza consiglio di amministrazione. La legge che governa la scelta dei vertici Inps non chiarisce se il mandato scada dopo quattro anni dalla nomina, o insieme al consiglio.
Il destino di Tridico sarà uno dei termometri della forza politica di Meloni, perché la presidenza Inps non è sottoposta alla regola dello spoil system che permette al governo entrante di cambiare i vertici della pubblica amministrazione. Un caso simile è quello di Dario Scannapieco, voluto da Mario Draghi alla guida della Cassa depositi e prestiti. La poltrona di Cdp, azionista di alcune delle più grandi partecipate dello Stato, in termini di potere reale vale quattro o cinque ministeri. Se Meloni darà retta agli umori che circolano nella maggioranza, sarà sostituito.
Attorno a Pasqua verrà il momento delle nomine per le quattro grandi partecipate pubbliche: Eni, Enel, Leonardo e Poste. Per Leonardo, poi, la sostituzione di Alessandro Profumo è data per certa. E i candidati in corsa sono due. Uno è proprio l’ex ministro della Transizione energetica il quale, poco prima della nomina da parte di Draghi, era stato scelto come capo della ricerca. L’alternativa sul tavolo di Meloni (e per competenza di Crosetto) è quella di Lorenzo Mariani, che oggi guida Mbda, ovvero il più grande consorzio europeo per la produzione di missili e tecnologie per la difesa.