Con l’ascesa al potere di Giorgia Meloni si pone in modo nuovo il problema storico-politico del Movimento sociale italiano, il “nonno” di Fratelli d’Italia. Il legame ideal-affettivo ostentato da Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, che fu tra i fondatori del Msi, poi segretario nonché figura molto discussa per i suoi rapporti con la destra eversiva, ci poteva essere tranquillamente risparmiato, peraltro in coerenza con il distacco, sino all’oblio, esibito da Meloni che evidentemente non ha alcun interesse ad accostare il suo nome agli eredi diretti del fascismo storico.
L’uscita di Isabella Rauti, accompagnata da quella più soft – un omaggio al padre missino – ma anche più significativo del presidente del Senato Ignazio La Russa, riapre così il problema del rapporto tra FdI e il Msi (saltando a piè pari l’esperienza di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini) evidenziando ciò che è incontrovertibile e suggellato dalla fiamma che tuttora è nel simbolo del partito di Meloni, cioè un rapporto di continuità e non di rottura tra le due storie. Ma la vicenda politicamente s’ingarbuglia un poco se teniamo presente, come sempre ripetono i meloniani, che il Movimento sociale fu un partito rappresentato in Parlamento e ampiamente legittimato dalla legge e dal piccolo ma significativo consenso elettorale. E allora dov’è la polemica?
La questione sta nel non risolto rapporto non con quella storia ma con le sue ombre, pesanti ombre: come se il superamento storico del partito di Giorgio Almirante e Pino Romualdi (ma anche appunto di Pino Rauti e di personaggi loschi da Vito Miceli a Sandro Saccucci a Massimo Abbatangelo) fosse stato sufficiente a fare i conti con una lunga stagione fatta sì di Parlamento ma anche di compromissioni con l’estremismo nero, finanche eversivo, e con le trame oscure ordite a quei tempi contro la democrazia italiana.
Meloni insomma, meno di Fini, non ha risciacquato i panni nelle acque del revisionismo storico e dell’abiura politica, cavandosela per così dire con la ripulsa delle leggi razziali ma senza affrontare il cuore nero degli anni Settanta e Ottanta, il che suona come una nota stonata, un che di imbarazzante, un’incompiuta sul terreno politico e anche morale.
Ed è in questa zona grigia che Isabella Rauti può bellamente inneggiare al partito di Almirante suscitando reazioni giustamente critiche o allarmate da parte degli antifascisti, fino però alla riproposizione della medesima contraddizione che vale per FdI, cioè questa: gli esponenti del Partito democratico scoprono adesso che Rauti o La Russa sono legati idealmente, sentimentalmente e politicamente (in quanto non ne rinnegano la storia) al Movimento sociale italiano?
Si comprende la reazione indignata di Emanuele Fiano, che alle ultime elezioni ha duellato con Isabella Rauti in un collegio milanese a lui sfavorevole e membro autorevole della comunità ebraica; meno senso ha la richiesta di dimissioni di La Russa di formulata da Stefano Vaccari, della segreteria del Pd, come se si pretendesse di annullare quel voto del Senato di poche settimane fa che ha portato il cofondatore di Fratelli d’Italia alla seconda carica dello Stato, e come se non si sapesse chi è e da dove viene, Ignazio La Russa.
Anche qui, gli eredi della storia comunista dovrebbero chiudere razionalmente un discorso storico-politico e scegliere: o il Msi è stato un partito legittimato a stare in Parlamento, e allora non ha senso chiedere le dimissioni di un esponente che a quella vicenda si ricollega; oppure fu un partito semi-eversivo e allora non si capisce perché la sinistra non ne chiese all’epoca la messa fuori legge o non ponga oggi la questione della illegalità dei suoi eredi morali e politici.
Detto questo, c’è però una questione che potenzialmente potrebbe diventare un problema da porre all’attenzione del Presidente della Repubblica che è quella di un presidente del Senato che continuamente esterna posizioni politiche di parte, al di là del ricordo dell’Msi, cosa che semplicemente non può fare in coerenza con il suo ruolo di seconda carica e potenziale supplente del Capo dello Stato. È questa di La Russa la prima, vera stortura istituzionale dell’era Meloni, ed è su questo, caso mai, che le opposizioni dovranno alzare la voce: non per gli omaggi al padre missino ma per gli sfregi all’imparzialità che la sua carica comporta.