«Vincerà ma il suo problema inizierà il giorno dopo». Questo è il ritornello che si sente dire da settimane sul governatore uscente Attilio Fontana che, secondo l’ultimo sondaggio di Bidimedia, alle elezioni regionali dovrebbe ottenere il 47,6 per cento ma trainato dal 31% del consenso per Fratelli d’Italia. E invece il governatore leghista, che ha navigato più o meno in acque tranquille – tenendo un basso profilo per tanti anni fra la guida del Consiglio regionale, quella del comune di Varese e dell’Anci – ora il problema ce l’ha sempre il giorno prima.
E per quanto sia il candidato favorito alla guida della Regione Lombardia, dopo un mandato travagliato in cui non si sa se sia più stato logorato dalla pandemia o da Matteo Salvini, sembra essere la vera vittima della spaccatura della Lega. Una frattura profonda, confermata dall’esito dei congressi provinciali a Varese, Pavia, Brescia, Lodi, Como, Cremona.
Con una divisone netta emersa soprattutto a Varese dove ha vinto il candidato del leader della Lega, Andrea Cassani, per soli 12 voti. Nella campagna elettorale lombarda in cui la Lega è sempre più debole (nei sondaggi sulle indicazioni di voto in Lombardia di Bidimedia è scesa all’11, 4%, diventando il quarto partito, superato anche dalla coalizione Azione- Italia Viva), la faida interna esplosa dopo la clamorosa debacle alle elezioni politiche colpisce soprattutto Attilio Fontana che deve lottare su due fronti: la crescita di Fratelli d’Italia e un partito disgregato e diviso al suo interno a volte solo per questioni personali.
Lo si capisce anche dal post fatto da Andrea Cassani, sindaco di Gallarate, dopo la battaglia vinta al congresso provinciale di Varese contro il suo sfidante Giuseppe Longhin, in cui ha ringraziato tanti amministratori ma non il governatore Fontana, due volte sindaco di Varese. Un avvertimento chiaro sulle indicazioni di voto dei leghisti che sostengono il leader della Lega. Anche perché pare che il presidente uscente della Lombardia non abbia votato Cassani.
Che Fontana non sia un dirigente di stretta osservanza salviniana è risaputo, data la sua storia legata alla Lega storica e ai rapporti personali con Bobo Maroni e Giancarlo Giorgetti. Così come è risaputo quanto il suo mandato sia stato complicato perché è sempre stato marcato stretto dagli uomini del leader della Lega. E ora che il Comitato Nord è stato benedetto sabato scorso da Umberto Bossi, fra ovazioni e sussulti di orgoglio padano al Castello di Giovenzano, a Pavia, la guerra interna alla tribù leghista ricade sulle sue spalle che non paiono essere così robuste.
Agli amici varesini e varesotti di sempre che gli hanno chiesto di prendere una posizione più netta, di cominciare a menare le mani, lui ha risposto che farà quello che gli chiede il partito. Paradossalmente, la faida interna colpisce più lui che si ritrova in mare aperto a fare da salvagente in campagna elettorale per un partito disgregato che Salvini «orgoglioso della sua squadra» perché ufficialmente ha perso la sfida con il Comitato Nord solo al congresso di Brescia. «Fontana rischia di essere ostaggio del conflitto che ha spaccato la Lega in due e rende ancora più difficile il rilancio di un movimento piegato dove per ora non esiste una figura alternativa a Salvini», ci ha detto Matteo Bianchi, deputato nella scorsa legislatura ed ex segretario provinciale della Lega di Varese.
Il governatore uscente, considerato da sempre un moderato, non certo un barricadero, risente della faida interna e fra le tante difficoltà che avrà se torna a Palazzo Lombardia – oltre all’accerchiamento di Fratelli d’Italia – sarà quella di trovare una sintesi fra le due anime del partito. Salvini non lo ama, ricambiato, e ha persino ipotizzato di candidare Giancarlo Giorgetti al suo posto nella partita lombarda per cercare di allontanare il ministro dell’Economia dal Governo e avere un candidato meno debole. Senza dimenticare la dispersione dei voti che andranno anche al Terzo Polo a cui guardano tanti leghisti e autonomisti delusi che non credono alla battaglia del Comitato Nord, se tornerà a Palazzo Lombardia sarà debole e accerchiato. «Con la crescita di Fratelli d’Italia, sarà un governatore sotto tutela», chiosa un altro dirigente leghista.