Programmi per il 2023Il piano di Giorgia Meloni per il presidenzialismo, passando dalla bicamerale

La premier lavora a una commissione snella di 15 o 20 parlamentari, presieduta da Marcello Pera. Tempo dei lavori: due anni circa. A gennaio il documento verrà discusso con i partiti, anche all’opposizione. Chiusure di Pd e Cinque Stelle, apertura dal Terzo Polo. Ma la maggioranza è tutt’altro che compatta

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

La premier Giorgia Meloni vuole il presidenzialismo. Lo ha detto in campagna elettorale. E lo ha ribadito durante la conferenza stampa di fine anno. E per arrivare alla riforma, secondo quanto riporta La Stampa, il piano della presidente del Consiglio prevede il passaggio da una bicamerale di 15 o 20 parlamentari al massimo con a capo Marcello Pera. Tempo dei lavori: due anni circa.

Il piano è inserito in un documento dal contenuto ancora volutamente vago. La ministra competente, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha cominciato un giro preliminare di consultazioni, partendo da Fratelli d’Italia e Forza Italia, sospeso per le urgenze parlamentari. A gennaio si ricomincia dalla Lega, l’alleato più complicato in questo ambito e poi si passerà alle opposizioni.

Giorgia Meloni crede che «sia la volta buona» per la riforma presidenziale (o «semi», questo si vedrà), ma da parlamentare ormai esperta ha visto come i tentativi dei suoi predecessori sono falliti più o meno miseramente e sa anche che l’opposizione, con l’eccezione del Terzo Polo, non collaborerà a cambiare la forma dello Stato secondo i disegni della destra. Così, la scelta è quella di accelerare o almeno di dare questa impressione.

In una conferenza stampa di fine anno senza grandi annunci, su una cosa la premier ha voluto mettere le cose in chiaro: «Il presidenzialismo è una mia priorità». La presidente del Consiglio si è data una scadenza: «Punto a farlo entro questa legislatura». E ha indicato un metodo: «Vorrei fare una riforma il più possibile condivisa. Non ho pregiudizi e preclusioni. La Bicamerale è utile se c’è la volontà di fare la riforma, non se ha scopi dilatori». E un modello: «Il semipresidenzialismo non è il mio preferito ma può esserci convergenza».

L’idea della bicamerale «agile» immaginata in via della Scrofa non è quella di Casellati, che invece vuole preparare un testo del governo da presentare entro la prossima primavera. Meloni ieri ha tenuto aperte tutte e due le strade: «Ci può essere, e non lo escludo, un’iniziativa del governo. Se ci fosse invece la disponibilità di lavorare a livello parlamentare non avrei preclusioni». Emanuele Prisco, già capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Affari costituzionali e oggi sottosegretario all’Interno aggiunge un elemento: «Anche se la riforma dovesse ottenere il voto dei due terzi dei parlamentari sarebbe giusto indire un referendum: una tappa epocale non può non essere confermata dalle urne».

La commissione bicamerale è un’ipotesi che trova molte resistenze a partire sia in Forza Italia («ci vorrebbe un anno solo per formarla», dice un dirigente azzurro), sia nella Lega. Uno dei predecessori di Casellati, Roberto Calderoli lo ha detto molto chiaramente nei giorni scorsi: «Nella mia storia parlamentare fatta di nove legislature non ho mai visto una Bicamerale conclusa con successo, tutte si sono chiuse senza ottenere alcunché». Parole nette concluse da una delle sue massime: «Se tu non vuoi fare una cosa, fai una commissione ad hoc; se non vuoi farla del tutto, fai una Bicamerale e perderai ancora più tempo».

Altra incognita sarà il ruolo delle opposizioni, con Pd e Movimento Cinque Stelle che non lasciano molti spiragli di dialogo: «La premier in sostanza dice, “noi vogliamo il semipresidenzialismo se ci state bene, altrimenti facciamo da soli”, un atteggiamento inaccettabile, qui stiamo parlando delle regole della democrazia», dice Andrea Giorgis, costituzionalista e deputato dem. Il Terzo Polo, invece, si mostra interessato: «Se il governo apre una discussione, non è possibile sfilarsi», dice Matteo Richetti di Azione. Italia Viva condivide, non ritenendo la Bicamerale l’unico strumento. È questa la sponda sulla quale punta Meloni che non dimentica un consiglio ricevuto due mesi fa: «Non fare da sola, lo dice uno che se ne intende». Il consigliere è Matteo Renzi.