Sistema gerontocentricoL’assegno unico del governo Draghi ha combattuto la povertà più del Reddito di Cittadinanza

Il dibattito sul sussidio voluto dal Movimento 5 stelle nasconde la vera ingiustizia di un welfare che ha sempre ignorato giovani, under 50 e famiglie con figli (con l’eccezione del provvedimento voluto dal ministro renzian-draghiano Elena Bonetti)

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Tra le tante caratteristiche grottesche della politica italiana c’è anche l’uso scorretto del lessico. Dai comuni denuclearizzati ai ministeri per il merito, spesso le cose non sono chiamate col loro vero nome. Il Reddito di cittadinanza non fa eccezione, visto che non si tratta di reddito, ma di sussidio, e soprattutto ha poco a che fare con la cittadinanza e molto con il vero problema: la povertà.

Proprio il tema della povertà dovrebbe essere protagonista del dibattito sul reddito di cittadinanza. Eppure è di fatto negata per motivi ideologici e pratici da chi pretende che il sussidio fornito dallo Stato sia un diritto per tutti, non solo per chi non guadagna abbastanza; ma anche da chi pensa che un impiego si trova sempre «basta volerlo», sia pure in nero e pagato tre euro all’ora.

Queste due concezioni, per brevità definibili di sinistra massimalista e di destra retrograda impediscono di affrontare il tema della povertà in termini moderni, seri e rigorosi. Il problema esiste e si incrocia con le grandi disuguaglianze generazionali e le asimmetrie del mercato del lavoro presenti nel nostro paese da decenni.

Le persone a rischio di povertà in Italia sono più del 20 per cento tra i 18 e 64 anni, ovvero hanno un reddito disponibile inferiore al 60% di quello mediano. Una situazione paragonabile a Stati come Spagna, Romania e Grecia. Mentre in Germania lo stesso tasso è del 14,5 per cento, in Francia del 14,2 per cento, nei Paesi Bassi del 13,8 per cento, e ancora minore è in Finlandia, Slovenia, Cechia.

Le cose cambiano molto se i dati si riferiscono a chi ha 65 anni o più. Qui l’Italia è oltre la metà classifica. Con il 15,6 per cento di anziani sulla soglia della povertà o sotto facciamo meglio di Paesi Bassi (16,4 per cento), Germania (19,3 per cento), e Spagna (17,5 per cento). Alcuni Paesi dell’Est Europa raggiungono cifre altissime. In Lettonia il 45,7 per cento dei cittadini di questa età rischia o è già in uno stato di indigenza. In Estonia è il 41,4 per cento, in Lituania il 35,9 per cento. In Bulgaria invece il 35,2 per cento.

Emerge qui la grande differenza tra modelli opposti e in un certo senso entrambi squilibrati: quello di parte dell’Europa orientale dove non si è mai imposto un welfare che mettesse al riparo chi aveva redditi bassi e aveva fatto lavori umili e malpagati in epoca socialista; e quello mediterraneo, e italiano in particolare, in cui l’unica vera politica di lotta alla povertà per decenni è consistito nel dare pensioni sociali ai tanti inattivi, soprattutto donne, e gli assegni di reversibilità più generosi.

Dati Eurostat

Solo in Grecia la differenza tra il rischio di povertà dei più giovani e quello dei più anziani è più ampia. Tra i motivi vi è il fatto che il nostro paese è il secondo quanto a lavoratori dipendenti under 65 che rischiano di non sbarcare il lunario. Si tratta del 9,9 per cento. In Germania sono il 7,7 per cento, in Francia solo il 4,7 per cento. Ovviamente le cifre percentuali sono più alte tra i disoccupati (45,3 per cento) e gli inattivi (31,7 per cento), ma in questi casi i numeri non si discostano molto dalla media continentale.

Dati Eurostat, 18-64enni

Avere un impiego non sempre salva dalla povertà, insomma, e le cose non sono cambiate molto nel corso del tempo, fatta eccezione per gli anziani. In Italia l’unica evoluzione positiva dagli anni 2000 a oggi è stata, infatti, il calo del rischio di povertà per chi ha 65 anni o più, passato dal 22,7 per cento del 2005 al 15,6 per cento del 2021.

Dati Eurostat

Diciassette anni fa l’andamento di tale rischio era in Italia non troppo diverso da quello degli altri grandi Paesi. Scendeva con l’aumento dell’età, ed era minimo tra coloro che erano alla fine della propria carriera, presumibilmente con stipendi più alti della media del loro settore, e in procinto di pensionarsi. Mentre saliva subito dopo, nel segmento in cui si ritrovavano sia gli ex lavoratori sia quanti un impiego non l’avevano mai avuto.

Oggi in Italia e Spagna a differenza di quanto accade in Germania o nei Paesi Bassi il rapporto inverso tra età e rischio di povertà è totale, ed è più facile sfuggire a questa dopo i 65 anni che a 50.

Soprattutto è massimo il divario tra Italia e Francia e Germania nel caso dei minorenni e dei 25-49enni. Tra coloro che iniziano una carriera o diventano genitori a trovarsi sotto la soglia del 60 per cento del reddito mediano sono il 20% degli italiani contro il 12-13 per cento dei francesi.

Dati Eurostat

Negli anni c’è stato un incremento del rischio di povertà di questa fascia, fermo restando quello, ancora più alto, dei più giovani, tra cui vi sono molti immigrati, mentre, come si è già visto, è crollato solo quello dei più anziani.

Dati Eurostat

Tutta la polemica sul Reddito di Cittadinanza di fronte a questi dati appare quindi perlomeno poco centrata, visto che si tratta di un dibattito sulla distribuzione di risorse a segmenti di popolazione che da sempre in realtà sono stati trascurati a vantaggio delle pensioni. Ogni programmazione riguardante forme di welfare e di sussidi dovrebbe innanzitutto tenere conto di queste evidenze e della necessità di destinare più fondi alle generazioni oggi più fragili. E non è detto che questi debbano avere solo la forma di sussidi come il Reddito di Cittadinanza, anzi

Un esempio virtuoso viene dall’azione del Governo Draghi, che secondo l’Istat ha beneficiato più di tutti gli under 14 e i 35-44enni in termini di riduzione della povertà. In queste due fasce questa è scesa rispettivamente del 4,1 per cento e del 3 per cento considerando la differenza tra quella precedente e successiva agli interventi dell’esecutivo. Al contrario è diminuita solo dello 0,5 per cento tra gli over 65, tra cui era già in partenza molto più bassa.

Come? Soprattutto attraverso l’assegno unico del ministro Elena Bonetti (governo Draghi), che ha inciso molto di più della riforma dell’irpef e dei vari bonus. Beneficiari delle misure sono stati soprattutto coloro che hanno figli, ovvero effettivamente i più poveri, soprattutto quando sono monogenitori. Quindi un’alternativa alla gerontofilia delle politiche di welfare c’è, che è possibile beneficiare gli ultimi e non sempre i terzultimi.

La questione generazionale è entrata finalmente nelle stanze dei bottoni? Il cambiamento di verso a livello governativo contraddice questa speranza. Spostare fondi dal pur controverso Reddito di Cittadinanza a Quota 103 non va esattamente in questa direzione, e sembra un ritorno al passato, quello anziano-centrico che già conosciamo bene.

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