Vocazione subliminaleLa gioiosa scalata di Schlein al Pd è troppo blanda per entusiasmare i cuori

La candidata alla segreteria del Partito democratico ha scelto la Bolognina per prendere la tessera, ma sembra un divertissement culturale non una sfida politica

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Il 12 novembre 1989 Elly Schlein aveva quattro anni e mezzo e naturalmente non poteva capire cosa avvenisse alla Bolognina, la sezione del Partito comunista italiano nel quartiere Navile, un rione storicamente operaio e di sinistra. Accadde come tutti sanno un fatto storico, la famosa svolta di Occhetto, crollava il muro italiano dopo quello di Berlino, fatto a pezzi proprio in quei giorni. Malgrado certi racconti dicano il contrario, Occhetto quel giorno sapeva di fare la storia. Era consapevole che rispondere all’unico giornalista presente (dell’Unità) che gli chiedeva se fosse possibile il cambio del nome con le parole «tutto è possibile» avrebbe aperto il più incredibile, lungo, drammatico dibattito mai visto in un partito: altro che le Agorà, la Bussola, i Comitatoni. Prima di far ingresso nella sezione comunista il segretario del Partito comunista italiano chiese al volo al compagno partigiano William se faceva bene a fare la svolta, lì, in quel momento, alla Bolognina, davanti ai partigiani: il vecchio militante fece di sì con la testa, e dunque il capo del Pci non ebbe più dubbi.

E così, nel vocabolario politico Bolognina è diventato sinonimo di svolta, rottura, quattro sillabe che significano che si cambia la storia. 33 anni dopo, quella bambina di quattro anni ha scelto proprio la Bolognina per andare a prendere la tessera del Partito democratico, il “nipotino” più diretto e importante del Pci. Ma certo Schlein non lo ha fatto certo per enfatizzare questa filiazione, lei che di comunista nel senso del Pci ha davvero poco, quanto forse per evidenziare una analoga volontà di rottura: la Bolognina di Occhetto ruppe con il Pci, lei vorrebbe in qualche modo rompere con il Pd che c’è adesso (non ha escluso nemmeno il cambio del nome). 

Sotto l’aspetto diciamo così subliminale il senso della modalità della iscrizione di Elly dovrebbe essere questo: voltare pagina. E però che differenza! Non solo – questo va da sé – per l’enorme distanza del valore storico delle due Bolognine: ma anche per l’inevitabile mancanza di drammaticità, di pathos, del gesto di Schlein rispetto a quello di Occhetto. Certo, allora si faceva la storia è oggi si fa la cronaca, e non è colpa o merito di nessuno. Nella scalata di Schlein alla segreteria del Pd cioè manca quel senso drammatico che è proprio dei momenti della grande politica, quella tensione da ultima spiaggia, quello sforzo intellettuale necessario che in un’operazione di rottura né si avverte che i tempi stanno cambiando o cambieranno più di tanto ed è forse per questo che viene da dire che Elly la si sposa con allegria, quasi fossimo davanti a un divertissement culturale e non a una sfida politica a tutto un mondo, una mentalità, un gruppo dirigente che infatti lei non prende di faccia ma di striscio, e molto labilmente. 

Non sembra lottare lancia in resta, Elly Schlein, eppure sta andando contro i bastioni eretti da politici di professione, pare invece voler sorvolare sulle magagne di un partito in crisi che lei vuole salvare con il sorriso, almeno questa è la Elly che appare, poi magari è cattivissima, chi lo sa: è una strategia comunicativa che suona come certe piccole canzoni country di due minuti mentre gli altri suonano piatti, ottoni e tamburi. 

E comunque a pensarci bene Elly l’ha pure spiegato: vado alla Bolognina perché abito da quelle parti. «Non siamo qui per sostituire il Pd ma per rinnovarlo», ha detto ieri ai compagni: alla fine non c’è nulla di eroico, di grande. Che sia questo un modo nuovo di fare la storia?

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