Bianchi in una notte Il dolore per la guerra all’Ucraina, l’odio per l’aggressore e l’amore che vincerà su tutto

In oltre 300 giorni, il popolo ucraino ha scoperto risorse all’interno di se stesso, fondi ai quali forse nessuno accede mai nella vita se non nelle situazioni critiche e ha infine compreso una frase spesso pronunciata dai nonni

LaPresse

No, non ci saranno le conclusioni di quest’anno, perché non c’è niente da concludere, l’evento che ha sconvolto le nostre vite non è concluso, la guerra è in corso, sono in corso le atrocità che l’esercito russo commette sul territorio ucraino, in corso ci sono la violenza e il dolore che oltrepassano il varco tra il 2022 e il 2023 e si allungano con una coda velenosa nei mesi dell’anno nuovo come una piovra. Quanto eravamo ingenui con i buoni propositi per il 2020, quando la pandemia ci ha scompigliato qualsiasi piano. Quanto eravamo ingenui con i buoni propositi per il 2022, quando dopo 2 anni di pandemia la guerra si è allargata da alcuni territori del Donbas a tutto il paese dell’Ucraina. Non c’è nessuna famiglia in Ucraina, e siamo in 41 milioni in Ucraina, che non sia stata direttamente urtata dall’onda di terrore chiamata guerra. Direttamente o indirettamente ci siamo dentro tutti. Nell’anno passato, in 310 giorni di guerra, abbiamo conosciuto cose che non avevamo mai conosciuto prima, abbiamo scoperto risorse all’interno di noi stessi, abbiamo scoperto quei fondi ai quali forse nessuno accede mai nella vita se non nelle situazioni critiche.

Abbiamo scoperto che cosa sia il dolore, profondo, lacerante, fisico, che penetra nelle ossa, che distorce il viso. Le rughe intorno alla bocca, agli occhi, sulla fronte sono diventate solchi che sprofondano sempre di più fino al cranio. Le nostre teste sono diventate bianche, come in quella frase che dicevano i nostri nonni e noi non l’avevamo mai capita fino a poco fa: «diventare bianchi in una notte». Siamo diventati bianchi in diverse notti fino a non riconoscere il colore dei nostri capelli.

Abbiamo provato la paura di non avere un domani, di non sopravvivere, di perdere le persone più care, di diventare orfani in un tratto. La paura che ci ha fatto reagire, fare qualcosa, arruolando ciascuno al suo fronte da militare, da volontario, da medico, da giornalista. A volte la paura ci ha bloccato, a volte ci ha fatto scappare. Tutti i nostri sentimenti in una guerra sono leciti. Di illecito qui c’è solo la guerra.

Abbiamo provato e tuttora continuiamo a provare odio. L’odio che ci è stato inflitto, quasi imposto a comando da un pulsante che fa partire i missili sui civili o che fa premere un grilletto che spara pallottole nei corpi del difensori ucraini. L’odio devastante, forte, preciso e mirato. L’odio per quelle bare che tornano a casa con i corpi dei ragazzi pacifici che fino al giorno prima facevano i buoni propositi per il 2022: finire l’università, magari sposarsi, fare finalmente quel benedetto passaporto e compiere il primo viaggio oltre i confini dell’Ucraina. Invece hanno scelto di proteggere le loro famiglie e le famiglie degli altri, hanno scelto di proteggere, non hanno scelto di avere la guerra in casa. L’odio per le bare che non tornano e restituiscono solo il silenzio straziante, una speranza cieca come le città senza elettricità, di poter comunque un giorno rivedere la persona più cara. Magari non è stata uccisa, magari è stata solo catturata, è solo dispersa e presto troverà il modo il mettersi in contatto. L’odio per le fosse comuni con tutta la gente che ci è finita dentro senza aver avuto diritto nemmeno alla sepoltura, una sepoltura che poteva avvenire dopo una lunga vita e dopo una morte naturale, invece ci sono file di cumuli di erra senza un nome e senza una croce.

Nell’obitorio di Bucha, la città liberata negli ultimi giorni di marzo, ci sono ancora corpi non riconosciuti. L’odio per tutte quelle faccine di bambini che presto diventeranno facce adulte ma con un trauma che non andrà via presto, che irromperà nei momenti meno opportuni, nelle piazze affollate, nei posti circoscritti, con le persone più care quando cade qualsiasi difesa protettiva.

Abbiamo scoperto cosa è importante e cosa non lo è più: le foto di famiglia, qualche indumento della madre e una vecchia pipa del padre sono diventati tesori che non possono essere comprati a nessun prezzo, che non possono essere sostituti con niente e scambiati con niente. Il materiale ha assunto un valore simbolico, è diventato un legame, una parte di noi che non potrà essere mai recuperata, perché giace sotto le macerie. Gli ucraini hanno lasciato la casa con una valigia sola senza mai avere un ritorno, come una lumaca con la casa attaccata al proprio corpo, in attesa di poterne ricostruire un’altra da quello zaino.

Abbiamo scoperto che cosa è la solidarietà, la gente sconosciuta che aspetta sui binari i profughi, che lascia le carrozzine alla stazione per le madri ucraine, che apre le porte della propria casa a persone sconosciute, che dona soldi, vestiti, cibo, generatori senza volere indietro niente. Quel calore delle mani umane che si sente anche se si indossa un guanto. Solidarietà e rispetto che ci siamo guadagnati con la risposta decisa all’aggressore russo.

E l’amore? Abbiamo provato l’amore in questo 2022? Quanto amore c’è nel donare i soldi all’esercito ucraino per salvare la vita di un padre, di una sorella, di un figlio, di una madre? Quanto amore c’è nel curare e incoraggiare le persone che arrivano mutilate dal fronte. Quanto amore c’è nell’uscire a fare il turno di notte in un ospedale, nel reparto di maternità che viene poi bombardato? Nell’uscire in piazza in una città europea per stare tutti insieme a rincuorarci. Quanto amore c’è nel parlare con le persone care, parlare oggi, scrivere che gli vuoi bene perché domani potrebbe non arrivare.

L’amore infinito, che traspira dai video delle città liberate, dell’incontro dei soldati in rotazione dal fronte che abbracciano i loro figli, l’amore che si manifesta nello sposarsi lì direttamente sul fronte, in uniforme. L’amore di chiedere scusa e ritrovare la persona con cui ci si è persi di vista per anni. L’amore nell’allacciare i cavi dell’elettricità abbattuti dopo l’ennesimo attacco russo. L’amore nel curare le aiuole della capitale con le sirene che piombano dal cielo. L’amore di attaccare alla busta i francobolli con il trattore che trascina il carro armato russo. L’amore nel calpestare mille palchi con il nodo finalmente sciolto alla bocca per poter parlare di tutto questo. Che sia il proposito dell’amore, quello sincero, il proposito degli ucraini per il 2023. Perché l’amore vincerà su tutto.