Il piano BLa subdola complicità di polizia e forze armate nell’assalto a Brasilia

Tutti conoscevano le intenzioni dei sostenitori di Jair Bolsonaro di invadere il palazzo presidenziale e la Corte suprema e poi di accamparsi in Parlamento. Eppure nessuno si è mosso in tempo per organizzare la sicurezza adeguatamente

LaPresse

Per giorni sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro in tutte le regioni del Brasile hanno organizzato la trasferta verso la capitale federale per mettere in atto il “Piano B”: marciare sulle istituzioni democratiche del Paese, invadere il palazzo presidenziale, la Corte suprema e accamparsi in Parlamento. Appelli alla mobilitazione di “patrioti” e brochure con la proposta di viaggio in pullman verso la piazza dei tre poteri circolavano da giorni sui gruppi di bolsonaristi radicali, soprattutto su WhatsApp e Telegram. Tutti sapevano, conoscevano i piani e le intenzioni, eppure nessuno si è mosso in tempo e organizzato la sicurezza adeguatamente. 

Anche quando a migliaia hanno iniziato a raggiungere Brasilia ore prima del corteo sfociato nell’invasione e depredazione del palazzo Presidenziale, del Parlamento e della Corte suprema. Così quando il fiume di manifestanti ha rotto i fragili argini della sicurezza, i pochi poliziotti presenti sono rimasti, letteralmente, a guardare. Rimanendo inerti per le successive due ore. Inerzia che è stata pagata a caro prezzo dal governatore del Distretto federale, Ibanes Rocha. 

Alleato della prima ora di Jair Bolsonaro, si è visto prima commissariare la pubblica sicurezza dal governo federale e poi sollevato dall’incarico per ordine del giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes, secondo cui l’operato fallimentare della polizia è effetto di una sua omissione in atti d’ufficio. 

«C’è stata incompetenza, mancanza di volontà o mala fede da parte di chi doveva occuparsi della sicurezza nel Distretto federale», ha commentato il presidente Luiz Inacio Lula da Silva annunciando l’intervento federale nella capitale. Il ministro della Giustizia, Flavio Dino, ha puntato il dito contro il segretario alla sicurezza pubblica Anderson Torres, fino a 10 giorni fa ministro della giustizia di Bolsonaro. 

Licenziato ieri quando ancora i manifestanti distruggevano indisturbati, insieme a vetrate e opere d’arte anche l’immagine del Brasile nel mondo, Torres è già oggetto di numerose denunce e una richiesta di arresto. Di certo le prime domande cui dovrà offrire una risposta saranno quelle relative alla natura del viaggio in Florida, dove si trova in questo momento. Soggiorno che si svolge nello stesso periodo in cui Bolsonaro si è rifugiato negli Stati Uniti, proprio in Florida, per evitare di partecipare alla transizione dei poteri.

La gestione della sicurezza da parte della polizia è anche sintomo di un problema strutturale. 

Nel corso degli anni e soprattutto nel periodo della campagna elettorale presidenziale per le elezioni del 2018, il messaggio politico ha preso piede nelle caserme delle polizie militari degli stati, come in nessun altro luogo. I benefici riconosciuti ai poliziotti e la prossimità di Bolsonaro con l’ambiente militare, ha solidificato il rapporto. «Sociologicamente parlando, c’è stato un elemento di identificazione con le persone vestite con i colori verde-oro della bandiera», afferma il capo analista ed esperto di questioni militari del Think Tank Equilibrium, Ricardo Lobato. «Questo spiega l’attitudine inerte dei poliziotti davanti all’avanzata dei terroristi verso i palazzi del potere». 

«La forte connotazione ideologica della polizia è un fatto conclamato e non è recente – afferma Lobato – la radice di questa relazione è da ricercare nella mancata smilitarizzazione delle polizie militari degli stati dopo la dittatura militare, come invece fatto ad esempio in Spagna». 

La natura ideologica dei poliziotti si incrocia con la guida politica “delle più radicali”, di Anderson Torres delle strutture di sicurezza, sostiene Lobato. Il risultato è sintetizzato nelle immagini dei poliziotti che filmano i manifestanti mentre invadono i palazzi del potere pubblico o mentre si voltano letteralmente dall’altro lato mentre in tanti corrono verso il parlamento con bastoni e pietre.

Il governo annuncia ora un cambio di passo nel contrasto al movimento sovversivo che da mesi tiene sulle spine il Paese. Con i responsabili delle invasioni di ieri che iniziano a finire in cella, l’obiettivo è ora smantellare i numerosi accampamenti di sostenitori di Bolsonaro che, sin dal giorno successivo le elezioni del presidente Lula, occupano gli spazi antistanti alle caserme delle forze armate per invocare un intervento militare per sovvertire l’esito del voto. Dall’accampamento di Brasilia provenivano infatti molti dei manifestanti che hanno invaso i palazzi del potere ieri. Dallo stesso sit-in permanente sono partiti i bolsonaristi che hanno tentato di invadere la sede della Polizia federale il 12 dicembre scorso per “liberare” uno dei propri leader, José Acacio Tserere Xavante, in manette per aver pronunciato frasi ingiuriose e minatorie contro il presidente Lula. 

Sempre nell’accampamento di Brasilia è stato pianificato l’attentato, poi sventato, il giorno di Natale. L’aspettativa di George Washington De Olveira Sousa, piazzando una bomba su un camion cisterna di combustibili, era che l’esplosione nei pressi dell’aeroporto internazionale di Brasilia desse inizio “al caos”, dando modo a Bolsonaro di imporre lo stato di emergenza, limitando i poteri di giustizia e parlamento, e impedendo l’insediamento di Lula. 

«Il problema è che questi accampamenti non sono stati sgomberati in precedenza e che, in molti casi sono stati protetti dalle forze armate. Molti militari mi hanno confessato che avevano parenti accampati lì», dice Ricardo Lobato. La stessa giustificazione è stata fornita invece pubblicamente dal ministro della Difesa di Lula, Josè Mucio Monteiro Filho, nel giustificare la tolleranza verso gli accampamenti. Altro elemento che aiuta a ricostruire il quadro di corto circuito istituzionale che attraversa il Brasile.

Con il passare delle ore appare sempre più evidente l’esistenza di un piano sovversivo organizzato e coordinato con l’obiettivo di destabilizzare le strutture democratiche del Paese. Un’organizzazione che il governo Lula punta a ricostruire a cominciare dall’identificazione di mandanti politici e finanziatori. E se per il governo le responsabilità penali di Bolsonaro sono ancora tutte da provare, quelle politiche sono già evidenti. 

Dopo un sopralluogo nei palazzi depredati Lula ha accusato apertamente il suo predecessore di essere il responsabile del caos senza registrato a Brasilia. «Non solo ha provocato tutto queste, ma continua a stimolare queste azioni da Miami. Sono anni che l’ex presidente invocato invasioni di Corte suprema e del Parlamento», ricorda Lula. Anni che Bolsonaro alimenta narrativa di brogli elettorali tra cospirazioni, complotti e fake news. E quando si pensava che il cambio al governo potesse portare a una normalizzazione e una riconciliazione nazionale, un evento inedito nella storia della giovane democrazia brasiliana destabilizza completamente il quadro completo e spagina le priorità di un governo la cui strada appare sempre più in salita.

X