Trattati male e mandati in guerra senza indicazioni. Alcuni di loro uccisi con un colpo in testa. Andrei Medvedev, ex comandante di 26 anni del gruppo mercenario russo Wagner, racconta alla Cnn cosa c’è dietro l’invasione in Ucraina. Una brutalità che alla fine lo ha spinto a disertare, chiedendo asilo a Oslo dopo aver attraversato il confine norvegese.
«Rastrellavano quelli che non volevano combattere e gli sparavano davanti ai nuovi arrivati», racconta. «Hanno portato due prigionieri che si sono rifiutati di andare a combattere, gli hanno sparato davanti a tutti e li hanno seppelliti proprio nelle trincee scavate dagli ultimi arrivati».
Il 26enne si era unito alla Wagner come volontario. È entrato in Ucraina meno di dieci giorni dopo aver firmato il suo contratto nel luglio 2021, prestando servizio vicino a Bakhmut, la città in prima linea nella regione di Donetsk. Al gruppo di mercenari – racconta – mancava una strategia tattica, con le truppe che escogitavano piani al volo.
«Non c’erano vere tattiche. Abbiamo solo ricevuto ordini sulla posizione dell’avversario… Non c’erano ordini precisi su come comportarci. Abbiamo pianificato come procedere passo dopo passo. Chi avrebbe aperto il fuoco, che tipo di turni avremmo avuto… Come sarebbe andata a finire quello era il nostro problema».
Medvedev inizia la sua carriera nella Wagner con dieci uomini sotto il suo comando, numero che è cresciuto una volta che ai prigionieri è stato permesso di unirsi. «C’erano sempre più persone che entravano. Alla fine avevo molte persone sotto il mio comando», racconta. «Non saprei contarne quanti. Erano in costante circolazione. Cadaveri, più prigionieri, più cadaveri, più prigionieri». Ai prigionieri arruolati veniva detto che le loro famiglie avrebbero ricevuto un compenso di cinque milioni di rubli (71.000 dollari) se fossero morti in guerra.
Ma in realtà «nessuno voleva pagare quel denaro», dice Medvedev. Molti russi morti combattendo in Ucraina sono stati «a malapena dichiarati dispersi». Trattati come carne da macello, dice.
Medvedev ora vuole condividere la sua storia per aiutare ad assicurare alla giustizia il capo della Wagner, Evgenij Prigozhin, e il presidente russo Vladimir Putin. «Prima o poi la propaganda in Russia smetterà di funzionare, il popolo si solleverà ed emergerà un nuovo leader», spiega.
Quando gli è stato chiesto se teme il destino di un altro disertore di Wagner, Yevgeny Nuzhin, assassinato davanti alla telecamera con una mazza, Medvedev ha detto che la morte di Nuzhin lo ha incoraggiato ad andarsene. Quella scena «mi ha reso più determinato ad andarmene».