Quesiti linguistici«Impresso» o «Imprimito»? Risponde l’Accademia della Crusca

Il termine meno noto è un tecnicismo ben radicato nel linguaggio dei pittori antichi, ma non ha nulla da spartire con le tecniche di stampa tipografica. Quindi meglio non usarlo

(Unsplash)

Tratto dall’Accademia della Crusca

Il presidente Claudio Marazzini risponde a un lettore che si interroga sull’accettabilità del participio passato imprimito per ‘impresso’, ‘stampato’.

Risposta
In ossequio alla regola che l’italiano è una lingua molto ricca (in tutti i sensi) e, a ben frugare, vi si trova tutto quello che vi si cerca, devo confermare al lettore quanto probabilmente il suo amico gli aveva già suggerito in maniera più o meno esplicita, per giustificare la propria tesi (peraltro errata, come vedremo): cioè che, effettivamente, imprimito per ‘impresso’, ‘stampato’, dal latino imprimo (stessa origine dell’italiano impresso, che però conserva il participio dalla forma latina impressus) è esistito, non solo per indicare il procedimento tipografico (compare rarissimamente nella prima metà dell’Ottocento, forse anche su influsso del francese imprimé), ma persino, e più anticamente, nel senso generale di qualcosa che lasci la propria traccia o impressione, come accadde nel noto miracolo della Veronica. Infatti, a p. 341 di un libretto devoto del Seicento, trovo questo bel passo sul miracolo del Volto santo:

Alle 15 hore il Nostro Benedetto Christo lo vidde la Veronica, con li occhi pieni di lacrime, e la sua Santissima facia tutta insanguinata, e con il suo facioletto li sugò la Santissina faccia, e restò lo Suo santissimo volto in quello imprimito. (Orticino dell’anima pieno di varij fiori, e frutti giovevoli per acquistar il Paradiso, Venezia, Francesco Valvasense, 1670, p. 341)

Qui non si parla di uno stampo tipografico, ma è pur sempre l’impressione di un’immagine, come fosse una silografia, e qui il verbo è stato trattato come se fosse stato un imprimire della terza coniugazione, come sentire, udire. Tuttavia, non ci vuole molto per cogliere quanto sia linguisticamente incerto e poverello lo stile dello scrivente secentesco, e poco elegante, per non dire decisamente rozzo. Il contesto in cui compare questa parola imprimito non fa venir voglia di imitare. Con ciò, dovrebbe già essere chiaro il giudizio che ci porta a decidere per la sicura condanna di imprimito nell’italiano moderno, in riferimento al contesto tecnico della stampa o a qualunque altro tipo di impressione, reale o metaforica. Si faccia anche attenzione a non confondere il participio passato italiano imprimito con una forma latina, simile a quella che si trova in questa formula cautelativa e dissuasiva di tipo editoriale, presente su antichi libri: “Authoris iniussiu quisquam ne imprimito, neve vendito”, cioè “Senza l’autorizzazione dell’autore nessuno si azzardi a stampare o vendere questo libro”. Ma, in questo caso, come ho detto, l’imprimito è latino, non italiano, e non è un participio, ma un imperativo futuro. Inoltre esiste un altro motivo per cui imprimito crea inutile confusione: imprimire esiste per davvero, ma ha un significato tecnico totalmente diverso, cioè vale “mesticare le tele per dipingervi”, come si legge nel Vocabolario della Crusca (V ed.).

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