Regionali, tutto a destraSecondo Calenda, il voto da tifoseria ha vinto sulle proposte dei candidati

«Abbiamo scelto i due assessori regionali che meglio hanno gestito il Covid, per guidare due Regioni, enti in cui il bilancio è quasi tutto assorbito dalla sanità. Non è importato a nessuno. Fontana e Rocca erano forse candidati migliori? Non credo. Se si vota come al Palio di Siena, se il voto è fideistico, i candidati contano poco. Ma io faccio politica proprio perché voglio scardinare questo sistema», dice il leader di Azione

Letizia Moratti al festival di Linkiesta

Il Terzo polo ha fallito l’obiettivo in Lombardia e nel Lazio. La candidata alle elezioni regionali di Azione e Italia Viva, Letizia Moratti, è arrivata terza. E nel Lazio Alessio D’Amato è stato superato di quasi 20 punti da Francesco Rocca. I due partiti per giunta hanno perso terreno come lista rispetto alle elezioni politiche.

Carlo Calenda, leader di Azione, ammette la sconfitta e spiega sul Corriere che «quello regionale è un voto difficilissimo per noi. Le preferenze pesano e noi invece dipendiamo da un voto di opinione. La peggiore condizione possibile per chi vuole spezzare il bipolarismo».

Certo, prosegue, «ammetto che non mi aspettavo il risultato in Lombardia nei termini in cui si è delineato. Neppure mi aspettavo, però, che Fontana addirittura prendesse di più, in percentuale, di cinque anni fa. Si può dire che il presidente uscente abbia governato bene? No, non si può dire».

E il problema, dice Calenda, non sono i candidati: «Abbiamo scelto i due assessori regionali che meglio hanno gestito il Covid, per guidare due Regioni, enti in cui il bilancio è quasi tutto assorbito dalla sanità. Non è importato a nessuno. Fontana e Rocca erano forse candidati migliori? Non credo. Se si vota come al Palio di Siena, se il voto è fideistico, i candidati contano poco. Ma io faccio politica proprio perché voglio scardinare questo sistema che porta a un’astensione sempre più alta con votanti sempre più divisi tra guelfi e ghibellini e al declino del Paese. Forse siamo condannati e io sono un irrimediabile idealista. Ma non mi arrendo».

Per Calenda, hanno sbagliato gli elettori. «Non ho timore di dirlo», spiega. «È la maledizione italiana: si vota per appartenenza. Sono di destra voto la destra, sono di sinistra voto la sinistra, prescindendo dal candidato e dalla qualità delle sue proposte. E poi mi lamento di chi governa». Nonostante il centrodestra sia «incapace di produrre un’azione di governo sensata», continua a vincere. «Ma perché gli elettori se ne rendano conto, visto che si vota alla “Grande fratello”, per affezione, ci vorrà del tempo».

Quanto alle alleanze dell’opposizione, per Calenda «queste elezioni non hanno insegnato che andando insieme si vince. Al contrario. Fossimo stati alleati del Pd in Lombardia, Fontana avrebbe vinto ugualmente e noi avremmo indebolito la capacità di rappresentare ognuno la propria quota. Centro e sinistra non sono mai stati in partita. Poi non è questione di strategie. Collaboriamo col Pd dove le candidature sono valide e i programmi chiari e condivisibili».

Calenda precisa che non c’è nessuna Opa sul Pd, al contrario di quanto dice Enrico Letta. «Il mio obiettivo non è distruggere il Pd. L’Italia ha bisogno di un partito socialdemocratico, come di un partito liberale. Il problema del Pd è piuttosto che i suoi dirigenti, dopo ogni sconfitta, spiegano che hanno perso per colpa di qualcun altro. Cercano scorciatoie, alchimie. Invece dovrebbero occuparsi del fatto che la destra è maggioritaria nel Paese. Anche con candidati debolissimi, prende un risultato stratosferico. Tutte le forze che pensano che la destra governi male devono fare un percorso di merito per recuperare elettorato, non cercare accrocchi assurdi, tipo l’Unione di Prodi, un tempo, o mettere insieme noi con Conte, ora».

Calenda va dritto per la sua strada con la formazione del partito unico di centro: «L’unica lezione che ricavo da queste elezioni è che il partito unico non può più aspettare. Basta perdere tempo. A marzo si parte: chi c’è c’è. Rinvii non ne accetto più».

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