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A fine gennaio 2023, il Ministero del Lavoro spagnolo ha multato Glovo per 57 milioni di euro. Oltre settemila rider avrebbero lavorato a Madrid senza avere regolari contratti. Solo a settembre, la stessa società di consegne a domicilio era stata multata per altri 79 milioni di euro per il medesimo motivo: non aver messo in regola i rider. «A quanto pare, Glovo preferisce continuare ad essere multata che sottostare alla norma. È questa la riflessione da fare», commenta Silvia Simoncini, Segretaria Nazionale di Nuove Identità di Lavoro (Nidil) Cgil. In Spagna, è possibile multare Glovo perché è una legge a stabilire che il rider è un lavoratore subordinato. In Italia, vige un ordinamento diverso. Nel nostro Paese i rider attualmente attivi, vale a dire quelli che lavorano con cadenza periodica, sono quasi trentamila. Ad oggi, questi ciclofattorini lavorano in base a una normativa che li rende o autonomi occasionali o lavoratori con partita iva. «Noi, come sindacato, sosteniamo la natura subordinata di tali lavoratori» afferma Simoncini. «Alcuni tribunali ci hanno già dato ragione, altri hanno ritenuto che i rider non siano lavoratori subordinati ma etero-organizzati e, in quanto tali, debbano godere degli diritti dei lavoratori subordinati».
Solo i dipendenti di Just Eat, quasi seimila in Italia, sono subordinati e vengono pagati ad ore, come qualsiasi altro lavoratore. Il meccanismo delle consegne subentra solo in un secondo momento come premio di produttività su un certo ammontare di viaggi effettuati. La differenza, enorme, con i lavoratori autonomi è questa: il numero effettivo di consegne e, soprattutto, il tempo impiegato per effettuarle determinano il salario del lavoratore. In una parola: il cottimo. Così, i rider lavorano rincorrendo le consegne. Al contrario, i dipendenti di Just Eat lavorano su turni e, in linea di principio, il numero di consegne portate a termine è indifferente rispetto alla paga. Tuttavia, a parte Just Eat, che assume i rider, da Glovo e da Deliveroo continuano ad esistere rapporti di lavoro autonomo.
Al momento, tutti i rider, sia quelli dipendenti di Just Eat sia quelli autonomi delle altre piattaforme, hanno la copertura Inail. Il vero problema consiste, però, nella modalità di lavoro perché, nell’ottica di effettuare il maggior numero di consegne per guadagnare il più possibile, l’aspetto della sicurezza diventa secondario e gli incidenti sono all’ordine del giorno.
I problemi della sicurezza sono connaturati alla professione. Per i rider, le tutele non sono così scontate come per altri lavoratori. Gli istituti assistenziali e provvidenziali hanno promosso delle iniziative. In particolare, a Napoli e in altre città esistono le case dei rider, locali messi a disposizione per consentire ai ciclofattorini le soste e il riposo. In generale, però, in Italia, gli incidenti sul lavoro sono frequentissimi e chi lavora per strada ha ancora più difficoltà a vedersi assicurate tutte le tutele. «Solo con le sentenze siamo riusciti ad ottenere qualche risultato, abbiamo dovuto buttare giù il muro costruito dalle aziende multinazionali che operano sul territorio italiano», commenta l’avvocato Sergio Vacirca.
La spinta a correre dipende dalle condizioni di competizione imposte ai lavoratori. È l’algoritmo a stabilire quale sia il tempo necessario per una consegna e la strada da percorrere, discriminando i lavoratori meno efficienti in base alle proprie valutazioni. Il ranking reputazionale condiziona l’accesso al lavoro, premiando chi ottiene un punteggio più alto rispetto agli altri ed escludendo progressivamente dal sistema i meno performanti. In nessun caso il rider può interagire con l’algoritmo per contestare il ranking attribuitogli dalla piattaforma. Secondo gli studiosi degli algoritmi, ciascun sistema subisce il preconcetto del proprio programmatore ed è chiaro ormai che non esiste alcun algoritmo neutro.
Le lotte giudiziarie hanno consentito di svelare il vero volto di un datore di lavoro tecnologicamente all’avanguardia, ma antico nella logica di profitto. Fino al settembre del 2020, i rider non avevano un contratto collettivo ed erano considerati dei lavoratori autonomi, al pari degli avocati e degli ingegneri. Sulla tutela di carattere individuale, però, sono stati raggiunti importanti risultati.
La Cassazione nel novembre del 2020 ha riconosciuto che i ciclofattorini sono lavoratori etero-organizzati. La Cassazione ha sostenuto, inoltre, che tale forma di etero-organizzazione non è un nuovo tipo di contratto ma una norma già esistente nell’ordinamento italiano dal 2015 (art. 2, d.lgs. n. 81/2015) e che disciplina talune figure molto al confine con il lavoro subordinato. In ragione di questa similitudine, il legislatore ha scelto di applicare tutta la disciplina del lavoro subordinato. Per esempio, le cause relative al diritto dei rider di ricevere le mascherine e l’acqua dall’azienda sono rivelanti perché sostengono che ai lavoratori etero-organizzati debbano applicarsi tutte le disposizioni del lavoro subordinato in materia di salute e sicurezza. In base a quanto previsto invece dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in Italia gli autonomi devono dotarsi a propria cura e spese degli strumenti a tutela della salute e della sicurezza. Il salto di qualità è stato dunque riconoscere che agli etero-organizzati si debba applicare tutta la disciplina del lavoro subordinato.
Contro le piattaforme si è già espressa nel 2021 la Procura della Repubblica di Milano, multandole. Secondo la Procura, il rapporto di lavoro del rider deve essere inquadrato con contratti di collaborazione coordinata e continuativa e non occasionale. Sempre nel 2021, il Garante della Privacy ha multato sia Glovo sia Deliveroo per le modalità di conservazione dei dati stabilendo che le piattaforme avrebbero dovuto verificare che i sistemi di prenotazione e assegnazione degli ordini di cibo non causassero forme di discriminazione. La sanzione comminata a una piattaforma del gruppo Glovo ammontava a 2,6 milioni di euro.
Il Tribunale del lavoro di Bologna, per primo, con la sentenza del luglio 2021, e quello di Firenze a novembre dello stesso avevano già dichiarato illegittimo il contratto collettivo dei rider firmato il 15 settembre 2020 da Ugl e Assodelivery, l’associazione composta da Deliveroo, Glovo, Foodtogo, Socialfood e Uber Eats, con un unico sindacato, Ugl Rider. Essendo stata riconosciuta l’illegittimità del contratto, oltre che la natura di sindacato di comodo per Ugl Rider, tre organizzazioni sindacali più un rider hanno chiesto che ne fosse inibita l’applicazione a livello nazionale a un tribunale delle imprese. Il tribunale di Milano ha rigettato la possibilità di un’azione collettiva per disapplicare il contratto Ugl. In maniera del tutto innovativa, tuttavia, il Tribunale delle imprese ha ritenuto ammissibile l’azione di classe inibitoria nelle controversie di lavoro laddove siano lesi interessi comuni a una classe omogenea. «Noi la consideriamo una vittoria – commenta l’avvocato Maria Matilde Bidetti – perché è stato affermato in sostanza che nelle controversie di lavoro si potrà agire per inibire comportamenti lesivi di interessi comuni ad una predefinita categoria di lavoratori».
Resta tanto da ottenere, in primo luogo, tramite la contrattazione collettiva, delle condizioni di lavoro migliori per tutti i rider. Le sentenze hanno avuto valore solamente per il lavoratore che ha mosso la causa. La contrattazione collettiva avrebbe valore invece per tutti i lavoratori che svolgono l’attività. «Il nostro obiettivo è dare gli stessi diritti a tutti i rider seguendo l’esperimento di Just Eat» conclude la Segretaria Nazionale NIdiL Cgil. «Vogliamo che i rider siano lavoratori dipendenti e che abbiano diritto alla tredicesima, alla quattordicesima, alla malattia e alla maternità, perché, se ne parla poco, ma il rider è anche un lavoro femminile».