Le faremo sapereI tempi (e i modi) dell’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea

Non si può lasciare Kyjiv in un’anticamera perenne, vanno date risposte a un popolo che combatte e si sacrifica sognando un futuro nell’Unione. Lo dobbiamo al nostro ventottesimo Stato

Il presidente ucraino Zelensky durante la storica visita alle istituzioni comunitarie
Foto: Europarlamento

«L’Ucraina è Europa». La corrispondenza d’amorosi virgolettati è già agli atti. Lo ha detto il presidente Volodymyr Zelensky nella sua storica visita alle istituzioni comunitarie di Bruxelles, dai cui vertici si è – giustamente – sentito ribadire lo stesso concetto. Quando si va oltre la retorica, però, qualcosa scricchiola. Da un lato il viaggio di gruppo della presidente Ursula von der Leyen, a Kyjiv con quattordici commissari, è servito a dimostrare che l’integrazione è già cominciata. Dall’altro, il frasario, coraggioso nella teoria, del trilogo annaspa di fronte alla prassi e alla richiesta di tempistiche più precise.

L’entusiasmo delle dichiarazioni pubbliche, insomma, non si converte automaticamente nell’avanzamento di un dossier su cui l’Unione europea rischia di replicare la sua specialità (almeno, quella che le viene imputata nei pregiudizi): la farraginosità burocratica, il dinamismo imbrigliato dentro i report chilometrici. Zelensky vorrebbe cominciare i negoziati di adesione entro l’anno: «Proprio quest’anno, il 2023», ha detto esplicitamente in conferenza stampa, scandendo le cifre. 2-0-2-3. Prima, ai giornalisti: «La domanda riguarda tutti, non solo me». A fianco aveva von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Cioè: la domanda riguarda tutti, la risposta soprattutto loro.

Vanno gestite le aspettative ucraine e quelle di Bruxelles. I discorsi registrano e incoraggiano i progressi, lo status di Paese candidato conferito a giugno ha motivato le truppe, come ha confidato Zelensky all’emiciclo. Però poi c’è la trafila – la stessa per ogni Stato, ce ne sono altri sette in lista d’attesa – con i criteri da soddisfare e i progressi da accertare. Non esistono né «tempistiche rigide» né «corridoi privilegiati». Quello di Kyjiv, dal 24 febbraio 2022, non è un caso come gli altri, ma gli si chiede di proseguire con le riforme.

Il Consiglio europeo straordinario a cui si è unito Zelensky ha elogiato, nelle conclusioni, «gli sforzi considerevoli» del Paese. Un pronunciamento formale sui passi in avanti è atteso in primavera. Lì si capirà quanto sono realistiche le speranze ucraine di concretizzare, passare cioè alla fase delle trattative. Di nuovo, il riconoscimento di giugno è stato straordinario, perché viviamo tempi straordinari: dalla candidatura, inoltrata a febbraio 2022 a pochi giorni dall’inizio della guerra, sono passati mesi e non gli anni, che sono stati l’ordine di grandezza del passato.

Una storia europea. È vero anche che il percorso di avvicinamento della repubblica nata nel 1991 era già decennale. Nel 1994, a soli tre anni dall’indipendenza, viene firmato il primo trattato di cooperazione tra Kyjiv e Bruxelles. Nel 2013 è proprio il rifiuto dell’allora presidente Janukovyč di proseguire l’integrazione economica con l’Ue, preferendo l’adesione all’Unione doganale Euroasiatica offerta da Vladimir Putin, a far insorgere il Paese per rivendicare un futuro diverso. Un futuro in Europa. Piazza Maidan cambia nome, per sempre.

Durata media tempistiche ingresso
Pew Research Center

Uno degli obiettivi – forse l’unico non pienamente raggiunto – del tour tra le capitali di Zelensky era anche raccogliere sostegno all’ingresso nell’Ue del suo Paese. Sul fronte dell’assistenza economica ma anche militare ha invece ottenuto rassicurazioni. Sui caccia, in particolare, c’è stato meno attendismo: è una fornitura più complicata dei carri armati, ma Londra si è impegnata ad addestrare i piloti ucraini, oltre ai soldati, e Kyjiv ha incassato qualche apertura, seppur declinata al futuro. Come spesso accade, il Parlamento europeo è stato più ambizioso (anche perché non deve conciliare, come il Consiglio, le posizioni di ventisette governi): la presidente Roberta Metsola ha chiesto esplicitamente una mobilitazione anche sugli aerei.

Per la membership non basta il parere favorevole di un’istituzione sola (ne basta mai solo una?). La trafila ordinaria prevede come prima cosa il raggiungimento delle condizioni fissate dalla Commissione, i cosiddetti «criteri di Copenaghen». Con l’eccezione dei Balcani, che hanno un addendum legato soprattutto alla cooperazione regionale, i punti sono generici: istituzioni stabili, stato di diritto, rispetto dei diritti umani, una funzionante economia di mercato, la capacità di implementare i vincoli di uno Stato membro nella prospettiva di un’unione sia politica sia monetaria. Su questa parte, l’Ucraina può essere ottimista.

Quando Bruxelles dà il suo assenso – Kyjiv spera che arrivi in primavera – si può iniziare a trattare, per importare l’attuale architettura legislativa europea (in gergo, l’«acquis»). I capitoli sono trentacinque, coprono ogni aspetto dall’energia ai trasporti, dall’ambiente alla protezione dei consumatori, dalla giustizia alla pesca (la lista completa, ce n’è anche uno conclusivo del tipo «varie ed eventuali»). Ognuno viene discusso separatamente. Possono venire previsti accordi finanziari, una specie di prospetto su quanto il Paese contribuirà al bilancio comunitario e quanto riceverà, o periodi di transizione per consentire di adattarsi gradualmente, scaglionando l’introduzione delle misure.

La Commissione monitora – e guida – i progressi in questi trentacinque campi. Tieni informate le altre due istituzioni, Parlamento e Consiglio, attraverso report periodici. Quando reputa raggiunti gli obiettivi, dà il suo assenso e a quel punto la palla passa al Consiglio. L’organo espressione dei governi dei Ventisette avvia allora i negoziati con il candidato per la piena appartenenza all’Unione. Non è una fase formale: la durata media è di tre anni e mezzo. Solo la Finlandia ci ha messo meno di tre anni; a Cipro, la più lenta, ne sono serviti più di cinque. Il dato si riferisce al post-candidatura, che comunque resta il pezzo più lungo, ma il processo completo ha avuto una tempistica media di nove anni per i ventuno Paesi non fondatori.

Alla fine di questo iter potrà venire finalmente firmato il trattato d’adesione tra l’Ucraina e l’Ue. Deve essere ratificato dal Parlamento del Paese candidato e da quello di tutti gli Stati membri, è lecito aspettarsi un certo ostruzionismo per esempio dalla solita Ungheria. Non solo Budapest, in questi mesi, ha nicchiato – o ha frenato per ottenere concessioni – sulle sanzioni contro Mosca. Abbiamo fatto una fuga in avanti, torniamo alla posizione in cui si trova Kyjiv oggi, cioè incassato l’ottenimento dello status, ma ancora in attesa del parere della Commissione e, quindi, del mandato negoziale.

Durante il vertice a Kyjiv, il primo tra Ue e Ucraina dall’inizio della guerra, il governo ospitante ha comunicato di aver raggiunto il settantasette per cento degli obiettivi (e il novanta per cento di quelli del settore Giustizia). La delegazione, di fatto, non ha contestato questi numeri. A giugno, nel documento della Commissione che dava luce verde alla candidatura, venivano enfatizzate alcune lacune da sanare: «L’indipendenza di tutte le istituzioni anticorruzione rimane cruciale», si leggeva, in particolare con la nomina di un procuratore nazionale. Si chiedevano, infine, riforme per «ridurre l’impronta dello Stato e l’influenza degli oligarchi» e una nuova legislazione contro il riciclaggio di denaro.

In un report di lavoro diffuso a inizio febbraio dal commissario europeo all’allargamento, Oliver Varhelyi, si tracciano i progressi in ognuno dei trentacinque settori di cui sopra. Visto che i miglioramenti riempiono la maggior parte delle pagine, concentriamoci sulla minoranza di quelli che ancora mancano, secondo l’analisi della Commissione.

🚔Carente coordinazione istituzionale sul controllo dell’immigrazione e dei confini
📄Mancano regole per il partneratiato pubblico-privato e sulle concessioni
💰La revisione contabile interna (internal audit) va puntellata per non compromettere la tracciabilità dei fondi pubblici
🔎Maggiore allineamento sulla protezione dei diritti dei consumatori e della proprietà intellettuale contro la contraffazione
🏦Rafforzare gli strumenti della Banca centrale, i suoi poteri di supervisione e la sua indipendenza
🏳️‍🌈Integrare una legislazione sull’eguaglianza di genere e contro le discriminazioni sul posto di lavoro
🛢️Prevedere riserve strategiche di petrolio
🐄Recepire le regole comunitarie su benessere animale e misure fitosanitarie
🎣Controllo della pesca e divieto di introdurre specie aliene negli allevamenti
💣Contrasto al traffico illegale di armi, munizioni ed esplosivi

Sulla politica estera, l’integrazione economica, lo stato di diritto e la libertà di movimento – sulle cose che più contano, insomma – non ci sono rilievi. Abbiamo elencato temi lunari con una guerra in corso, come la pesca o la protezione del copyright. Ci si aspetta meno dogmatismo nella religione laica della burocrazia comunitaria. Più flessibilità. In particolare, sarà decisiva la volontà politica che ha permesso già di riconoscere la straordinarietà del caso ucraino, con le pratiche per la candidatura riempite sotto le bombe dagli uffici di Zelensky.

Un precedente c’è: alla Grecia – che attraversava una situazione sociale e politica difficile, ma non paragonabile a un conflitto in cui sono in gioco la sicurezza e il futuro dell’Europa intera – fu consentito di entrare nella Comunità europea nel 1981, grazie all’appoggio decisivo di Francia e Germania (Ovest). Non si può lasciare l’Ucraina nell’anticamera perenne, nel limbo di un «Le faremo sapere». Vanno date risposte a un popolo che combatte e si sacrifica sognando un futuro nell’Unione. Lo dobbiamo a loro, al nostro ventottesimo Stato.

Questo articolo è tratto dalla newsletter di “Linkiesta europea”, ci si iscrive qui.

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