Che a Bruxelles non sarà una giornata ordinaria lo si capisce fin dalla prima mattina. L’elicottero della polizia che volteggia basso nel cielo della capitale belga, il suono persistente delle sirene e le strade bloccate nel quartiere europeo sono circostanze abituali a ogni Consiglio europeo, che ospita i ventisette capi di Stato e di governo dell’Unione.
Ma in questo caso l’ospite d’eccezione della città è un altro e si materializza con un’ora di ritardo sulla segretissima tabella di marcia, che circolava nelle chat dalla sera precedente. Dopo decine di interventi online, Volodymyr Zelensky è qui, in carne e ossa, felpa sportiva e pantalone verde militare, accolto da applausi e grida d’incoraggiamento a ogni suo passo.
Accoglienza da eroe
La prima tappa è il Parlamento europeo, l’istituzione che forse più delle altre si è spesa per la causa ucraina, con il viaggio di Roberta Metsola a Kyjiv ad aprile, il primo di una lunga serie di visite dei leader europei. All’Eurocamera, la folla è tale che ci si assiepa sulle scale e quando si sentono alzare i toni dei sostenitori con le bandiere ucraini appostati all’entrata, una selva di fotocamere e telefoni cellulari si alza sul red carpet dell’ingresso protocollare.
Zelensky regala poche rapide battute ai presenti mentre si incammina con la presidente Roberta Metsola verso l’emiciclo. Non prima di uno dei momenti più toccanti della visita: l’inno ucraino e quello europeo suonati uno dopo l’altro, con i due presidenti in piedi davanti alle rispettive bandiere, la mano sul cuore di Zelensky e il sorriso commosso di Metsola.
La plenaria, intanto, si riempie in fretta come le gradinate di uno stadio. Molti deputati vestono cravatte o sciarpe gialloblù e alzano cartelli di sostegno per l’Ucraina; la galleria riservata a stampa e pubblico, mai così piena, accoglie Zelensky con un boato.
Fuori dall’aula, gli addetti alla sicurezza faticano a dirigere il traffico, mentre gli uomini della sicurezza del presidente, sorridenti e spaesati nelle loro mimetiche militari, cercano disperatamente del caffè. Dentro, ci pensa Metsola a scaldare l’atmosfera con un intervento appassionato. Nulla di nuovo, ma fa sempre un certo effetto sentir dire alla presidente del Parlamento che «L’Ucraina è Europa e il futuro del vostro Paese è nell’Unione Europea».
Quando poi è il presidente ucraino a prendere la parola, non tutti riescono a trattenere le lacrime. La platea risponde a gran voce al suo Sláva Ukrayíni e sembra apprezzare un discorso il cui tema ricorrente è lo «stile di vita europeo», attaccato dalla Russia e difeso dai connazionali con le armi in pugno.
Il suo è un appello a tutti gli europei, dagli studenti ai medici, dagli artisti agli ingegneri: «Il destino dell’Europa non dipende solo dai politici. Ognuno di voi è importante e può influire sul risultato finale: la nostra vittoria comune».
L’applauso è ancora più fragoroso quando Zelensky lo dedica tutti coloro che resistono, nelle città e nei villaggi dell’Ucraina. La standing ovation che segue è l’apice di un’accoglienza mai riservata dall’Eurocamera a nessun altro ospite, almeno in questa legislatura.
Il ventottesimo dell’Unione?
Meno di dieci minuti a piedi, una manciata di secondi per il corteo di auto che viaggia a sirene spiegate, separano l’edificio del Parlamento dall’Europa building, che ospita le riunioni del Consiglio europeo. Ad attendere Zelensky qui ci sono i ventisette Capi di Stato e dell’Unione, tutti pronti (tranne Viktor Orbán, chissà quanto di proposito) a battere le mani al suo arrivo prima della foto di rito.
«Il contenuto della riunione è segreto, ma posso ripetere quanto affermato da uno dei ledaer. Che la pace si otterrà quando l’Ucraina vincerà e farà parte dell’Unione», dice Zelensky nella conferenza stampa successiva, tenuta insieme a Charles Michel e Ursula von der Leyen.
Le richieste che porta a Bruxelles sono quelle abituali: sanzioni alla Russia, armi al suo Paese, passi avanti nel percorso verso l’adesione all’Unione Europea. I presidenti di Consiglio e Commissione insistono sul decimo pacchetto di sanzioni, da attuare entro il 24 febbraio, primo anniversario dell’invasione.
Ma sanno che sul resto non possono fare promesse roboanti, visto che tutto dipende dalla volontà degli Stati membri: von der Leyen tiene comunque a ribadire che il processo di ingresso nell’Ue non ha confini temporali e che la sua durata dipende soltanto dalla velocità con cui il Paese candidato compie le riforme necessarie.
La tensione in sala stampa si scioglie, quando la domanda sul tema viene rivolta direttamente a Zelensky: «Ci aspettiamo di avviare i negoziati di adesione entro quest’anno… e per quest’anno intendo il 2023», dice con un sorriso beffardo, guardando Michel e rispolverando una vena comica che strappa risate ai giornalisti.
Il pomeriggio del presidente ucraino è poi dedicato a una serie di incontri: non bilaterali, perché non avrebbe il tempo di parlare con tutti, ma a gruppi di cinque, sei o sette rappresentanti nazionali. Nel primo c’è anche Giorgia Meloni, insieme ai suoi omologhi di Polonia, Romania, Spagna, Svezia e Paesi Bassi.
La presidente del Consiglio italiano si era mostrata indispettita per l’incontro tra Zelensky e i suoi omologhi di Francia e Germania, Emmanuel Macron e Olaf Scholz, avvenuto a Parigi alla vigilia del Consiglio europeo.
«Mi è sembrato più inopportuno l’invito a Zelensky di ieri», ha detto rispondendo alla domanda di un giornalista sulla missione diplomatica di Macron e Scholz a Washington. «Capisco le questioni di politica interna, ma ci sono momenti nei quali privilegiare la propria opinione pubblica interna rischia di andare a discapito della causa», le parole taglienti della premier. Che comunque ha avuto modo di ribadire personalmente il sostegno italiano a Zelensky in una conversazione a due: il presidente ucraino, che avrebbe chiesto il colloquio personale, ha manifestato forte gratitudine.
Alla fine di una giornata lunga e impegnativa, Zelensky lascia Bruxelles con le promesse di sempre: misure restrittive per la Russia in arrivo, un sostegno al suo Paese as long as it takes, e la vaga ma sempre più suggestiva prospettiva di un’Ucraina nell’Unione Europea. Che a giudicare da come il suo presidente stringe la bandiera blu a dodici stelle sembra un obiettivo a portata di mano.