«Il problema non era farlo, il vino, ma venderlo: all’inizio pur di venderlo facevo damigiane, non mi vergogno a dirlo. Nell’83 ho imbottigliato i primi 15 ettolitri, non immaginate nemmeno quanto ne fossi fiero. Poi alle fiere non lo compravano, poi dicevano che costava troppo, e mi deprimevo. Ma perseverare ha aiutato». E hanno aiutato anche gli incontri, belli e importanti, che hanno aperto le porte, la mente e il cuore a un uomo che di passione e di voglia era pieno: Veronelli, la Fivi, Carlin Petrini. Numi tutelari, amici, altri vignaioli che come lui stavano capendo come dare al mondo del vino italiano una nuova veste, e stavano correndo per una nuova avventura, dando avvio a un vero movimento rivoluzionario e alternativo, fatto di sfide, di provocazioni, di convinzioni e di determinazione.
«Il tappo a vite supporta la longevità del vino, gli permette di evolvere correttamente e garantisce una chiusura perfetta – sottolinea Prà – sono queste solo alcune ragioni che sostengono la nostra scelta, una decisione maturata dopo tredici anni di osservazioni e degustazioni comparate di vecchie annate. Oggi siamo certi che il tappo a vite sia la scelta migliore per l’affinamento e la conservazione dei nostri vini, la risposta più forte al nostro desiderio di produrre vini buoni nel tempo, senza difetti ed eleganti».
Oltre alla longevità e alla garanzia dell’evoluzione in bottiglia, attraverso una micro-ossigenazione del vino senza alterazioni, l’azienda sostiene il tappo a vite anche per il suo essere rispettoso e attento nei confronti del cliente. «Comprare una bottiglia di Soave con il tappo a vite – conclude il viticoltore – significa non correre rischi ed essere certi di acquistare un vino che dipende dall’annata, e mai dal tappo. Inoltre, lavorando molto con i mercati esteri, il tappo a vite ci permette di reggere lo stress da trasporto, evitando tutti i problemi legati al posizionamento verticale o orizzontale e agli sbalzi di temperature tra un mezzo e l’altro».
Insomma, qui la prospettiva si ribalta: il sughero va bene per i vini di pronta beva, che non rischiano troppo sul lungo periodo sul fronte del “sentore di tappo” e dell’evoluzione. Per quelli da invecchiamento si sceglie la vite, che riesce a preservare meglio sentori e sapori: «Perché il nemico numero uno del vino è l’ossigeno» chiosa il vignaiolo.
E a proposito di progetti legati al territorio, Graziano Prà ha appena presentato l’apertura di Monte Bisson, un agriturismo con sole due camere (chiamate come i suoi iconici vini “Staforte” e “Monte Grande”) a pochi chilometri dalla cantina Prà e che va ad arricchirne l’offerta enoturistica composta da visite, degustazioni e da diversi tour guidati, pensati per vivere il vino e il territorio del Soave durante tutte le stagioni, sia a piedi che in e-bike.
Immerso in una tenuta di 15 ettari, 7 di vigneti e 8 di bosco, in uno scenario unico tra i colli vitati e a tre chilometri dal borgo medievale di Soave, l’agriturismo è nato dalla ristrutturazione di un antico podere di proprietà, rinnovato secondo uno stile contemporaneo in cui dominano i colori caldi e avvolgenti del legno. All’esterno è stato creato un ampio orto-giardino che ospita 85 specie diverse di piante e fiori a cui si aggiungono vari ortaggi di stagione. Da qui parte anche un sentiero naturalistico con passaggio tra i vigneti fino al bosco circostante e lungo il quale è possibile visitare una torre veneziana del 1400.
«Durante le visite in cantine e le degustazioni ci teniamo molto a trasmettere la nostra idea del sentirsi a casa e della convivialità che si crea intorno ad un calice di vino. Il Monte Bisson – spiega Graziano Prà -è un’altra sfaccettatura di questo racconto, il luogo ideale per poter accogliere al meglio i nostri ospiti e tutti coloro che vogliono trascorrere qualche giorno di riposo o alla scoperta questo splendido territorio».