Prevista per le ore 1:52 del 12 febbraio, la lettura del messaggio di saluto di Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo ha subito il ritardo di una decina di minuti. A quanti hanno criticato l’orario in cui era stata fissata la cerimonia, la direzione aveva risposto che si sarebbe comunque effettuata prima della proclamazione dei vincitori e quindi nel momento clou del Festival.
In verità, con un po’ di malizia e di faccia tosta in più, sarebbe stato “politicamente corretto” sostenere che la scelta dell’ora – nel palinsesto dello spettacolo – teneva conto dei fusi orari che ci separano dall’Ucraina (e dalla Russia) e che pertanto le parole del presidente ucraino – lette da Amadeus, che per l’occasione non aveva indossato lo smoking mimetico – sarebbero arrivate in quelle lande (che sembrano essere molto interessate al Festival) quando la notte era ancor giovane.
Nel frattempo da alcune ore in Italia era aperto un dibattito sui risultati che Giorgia Meloni ha vantato di aver ottenuto nella riunione del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, ma soprattutto per l’onta subita dalla presidente di non essere stata invitata a Parigi da Emmanuel Macron alla cena con Zelensky. Indispettita, Meloni si è intrattenuta a lungo sullo sgarbo subito durante la conferenza stampa. Ma è sembrata la volpe della favola che se la prendeva con l’uva acerba soltanto perché non era riuscita a raggiungerne, saltando, i grappoli dorati.
Si dice, negli ambienti informati, che “Io sono Giorgia” si sia posta a lungo, adattandolo alle circostanze, il dubbio di Nanni Moretti: «Mi si nota di più se protesto per l’esclusione dell’Itala o se critico l’esistenza di una gerarchia degli Stati e mi erigo a paladina di tutti quelli che giocano nella serie cadetta?». Ovviamente questa seconda scelta può apparire più generosa, ma ha indotto Meloni a mostrarsi più realista del re, dal momento che nessun altro governo di un Paese di serie B ha protestato per l’iniziativa franco-tedesca, mettendosi a rivendicare – come mai in passato – la regola esclusiva della collegialità.
Meloni poi – per ritorsione? – si è attorniata dei governi del gruppo di Visegrad. Ma questo non è stato un errore, perché la posizione di quei Paesi (tranne l’Ungheria, che comunque fa la sua parte nell’accoglienza dei profughi ucraini) è molto importante per quanto riguarda la partita della vita che l’Unione europea sta giocando con Vladimir Putin. Il ruolo e l’impegno, in prima linea, della Polonia sono fondamentali là dove tuona il cannone; le altre controversie possono attendere.
Poi, la premier ha capito che non avrebbe potuto sottrarsi, in conferenza stampa, a una domanda relativa al caso Sanremo e alla linea di condotta bizzarra della Rai sull’invito al presidente ucraino. «Io avrei preferito che Zelensky fosse stato presente a Sanremo», ha affermato Meloni aggiungendo di aver «apprezzato» la scelta del presidente ucraino di inviare poi la lettera. «Mi dispiace più che altro che si sia creata una polemica: non è mai facile far entrare la politica in una manifestazione come Sanremo, anche se poi ci entra sempre», ha aggiunto.
E, in effetti, incaricare Roberto Benigni di celebrare l’anniversario della Costituzione è stata una scelta politica; non solo per l’impostazione generale della poetica di Benigni («la Costituzione più bella del mondo») quanto piuttosto per una declamazione molto contingente e legata all’attualità; indirettamente anche all’aggressione russa dell’Ucraina.
Se si legge, infatti, solo la prima parte dell’articolo 11 della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra) e non si va oltre il punto e virgola, e se non si fa neppure cenno di quanto disposto dal successivo articolo 78 (le Camere deliberano lo stato di guerra), si compie una scelta di campo truffaldina rispetto al conflitto in corso in Ucraina e si valorizzano le tesi immonde dei pacifisti nostrani che da un anno coniugano, come un disco rotto, il verbo ripudiare.
Meloni ha poi insistito su Zelensky: «Credo che fosse comunque importante una sua presenza». Non sappiamo se questa premurosa raccomandazione servisse a sgomberare il campo da un dato di fatto inconfutabile. Sembra un paradosso, ma il presidente Zelensky, ricevuto trionfalmente nelle capitali europee e altrove, sarebbe stato accolto a pernacchie (nella manifestazione annunciata dei farisei pacifisti) soltanto a Sanremo. Ci facciamo sempre riconoscere.