Non sono tutte chiacchiereLe tradizioni gastronomiche del carnevale italiano, da Nord a Sud

I famosi nastri fritti che addolciscono l’ingresso nel digiuno quaresimale sono solo una delle leccornie carnevalesche tipiche del Belpaese. E non sono tutte zuccherate

Bugie, cenci, crostoli, fiocchetti, frappe e sfrappole. Sono solo alcuni dei simpatici nomi affibbiati all’emblema culinario di questa festa, nonché erede naturale dei frictilia offerti nell’Antica Roma in occasione dei Saturnali e dei Baccanali. Insieme a costumi, maschere e parate, i piatti tipici del carnevale sono i protagonisti di questo momento di indulgenza che precede il Mercoledì delle ceneri: dunque abbandoniamoci insieme agli eccessi del buon cibo per meglio sopportare i doverosi fioretti della Quaresima, tanto sacrificanti quanto propedeutici alla prova costume.

Frittelle alla salvia e vin brulè in Val Lumiei
Iniziamo la nostra avventura in un borgo di montagna che conta meno di quattrocento anime ma è famoso in tutta Italia per il suo prosciutto dal gusto inconfondibile, diverso da tutti gli altri grazie alla leggera affumicatura conferita dalla combustione naturale del legno di faggio. Il Carnevale di Sauris (Zahrar Voschankh) è senza dubbio il più suggestivo di tutto il Friuli, e ha origini antichissime tramandate dai primi contadini e allevatori che dalla zona di confine tra Carinzia e Tirolo si insediarono nel paese verso la fine del tredicesimo secolo.
L’evento culminante è la “Notte delle lanterne” che si tiene il Sabato grasso: il Rölar, cinto da rumorosi sonagli (röln), e il Kheirar, armato di scopa, cacciano gli spiriti maligni e guidano attraverso il bosco un corteo misto di maschere lignee e spettatori curiosi; facendosi luce con le lanterne, percorrono al chiaro di luna i sentieri innevati che li condurranno al grande falò propiziatorio, dove potranno rinfrancarsi con una tazza di vin brulè e delle frittelle calde aromatizzate alla salvia.

Venerdì gnocchi in quel di Verona
Il Carnevale di Verona, meglio conosciuto come “Bacanàl del Gnoco”, trarrebbe origine dalla sollevazione popolare contro i fornai durante la terribile carestia sofferta nei primi decenni del Cinquecento a causa delle incursioni dei Lanzichenecchi e delle inondazioni dell’Adige. La povera gente venne sfamata grazie all’intervento di alcuni virtuosi cittadini, primo tra tutti Tommaso da Vico, che distribuì a sue spese generi alimentari di ogni tipo: pane, vino, formaggio e soprattutto gnocchi (di acqua e farina) venivano serviti sulla “pietra del gnocco”, ancora ben visibile davanti al sagrato della Basilica di San Zeno.
La tradizione narra che il dottore veronese lasciò nel suo legato testamentario (mai rinvenuto) l’obbligo di elargire viveri ogni Venerdì grasso, per ricordare il giorno in cui il suo magnanimo gesto scongiurò la tragedia. Per rievocare questo personaggio nasce quella che viene considerata la più antica maschera d’Europa di cui si abbiano documenti certi: il “Papà del Gnoco”, eletto annualmente tra i cittadini veronesi, è un uomo anziano e rubicondo dalla lunga barba bianca, avente come scettro una forchetta dorata che infilza uno gnocco; il Venerdì Gnocolàr sfila a cavallo di una mula distribuendo porzioni di gnocchi conditi con la famosa pastissada de caval.

La focaccia trentina “scacciafame”
«Onto e bisonto soto tera sconto, sconto ‘n te ‘na cassetta se te ‘ndovini ten dago ‘na fieta»
Così recita la filastrocca dedicata allo “smacafam”: si tratta di una focaccia salata condita con lucanica trentina e lardo (o pancetta affumicata, a seconda della vallata) che tradizionalmente veniva cotta sotto la cenere (soto tera sconto); la variante moderna preparata in forno è certamente meno romantica ma non per questo meno golosa. Per placare i sensi di colpa accompagnatela con un tocco “green”: il tarassaco oppure un’insalata di patate e fagiolini si abbinano perfettamente, così come i crauti. E se dovesse avanzare niente paura, perché il giorno dopo è ancora più buono: «Lo smacafam per ancoi e per doman».

La polenta dei poveri in Piazza del Kuerc
A Bormio l’anarchia regna sovrana, ma solo per un giorno, esattamente la domenica che cade cinquanta giorni prima di Pasqua: il sindaco, cedendo il posto al Podestà di Mat con tanto di incoronazione ufficiale, trasferisce i suoi poteri alla Compagnia di Mat capeggiata da Arlecchino, il quale legge pubblicamente i pettegolezzi e le lamentele imbucate dai cittadini nella cassetta collocata al centro di Piazza del Kuerc. La polentata dei poveri è l’atto finale di questo folle governo, che un tempo vantava una giurisdizione illimitata per ben sette giorni all’insegna degli eccessi.

La seuppa del Camentran de Creméyeui
I volontari del comitato organizzatore del Carnevale di Courmayeur si mettono all’opera sin dalle prime ore del mattino affinché la zuppa sia pronta per l’ora di pranzo: pane raffermo, fontina, verza e burro a volontà sono gli ingredienti di questa prelibata pietanza che ha l’onore di aprire i festeggiamenti del Martedì grasso. Il tutto è innaffiato dall’allegria dell’esercito dei quaranta “beuffons” che annunciano con i loro campanacci l’arrivo dei carri allegorici. La giornata si chiude con la gara di taglio del tronco (“Seittòn”), un’ottima occasione per smaltire la seuppa, soprattutto se avete fatto il bis!

I fagioli grassi che diedero inizio alle schermaglie
Il Carnevale di Ivrea è noto soprattutto per la “Battaglia delle arance” ma pochi sanno che le origini di questa spettacolare tradizione risalgono verosimilmente al diciannovesimo secolo, quando la gente sui balconi usava tirare fagioli alle carrozze dei ricchi in segno di scherno verso la ridicola elemosina a base di avanzi delle grasse fagiolate.
D’altra parte, la conformazione architettonica del centro storico ben si presta a questo tipo di comunicazione non verbale: anche le fanciulle erano solite accettare o incoraggiare il corteggiamento dei viandanti lanciando frutta e ortaggi. Non è ben chiaro come sia avvenuto il passaggio alle arance, ma ciò che è certo è che i fagioli che un tempo si gettavano dalla finestra oggi si mangiano: i faseuj grass (preparati con ritagli di carne e cotenna di maiale) vengono abitualmente consumati il Martedì grasso, giorno di abbondanza prima della Quaresima.

Le sciumette dimenticate (anche dai liguri)
Accanto a bugie, latte fritto, castagnole e frittelle di mele (del Borgo Coscia), in Liguria sopravvive un dolce antico ed elegante che merita di essere ricordato: le sciumette sono meringhe cotte nel latte bollente, servite su una delicata crema al pistacchio e spolverizzate di cannella. Parenti strette delle assai più celebri îles flottantes, se ne differenziano per il tocco di italianità regalato dal pistacchio e costituiscono una sana alternativa alle ghiottonerie cotte nell’olio facilmente reperibili su tutto il territorio nazionale.

Le tagliatelle (fritte) alla bolognese
Bando al salutismo per l’ultima tappa del nostro viaggio nordico attraverso i piatti caratteristici del carnevale: vi presentiamo un dolciume alquanto diffuso in Emilia-Romagna, che nasce dalla meravigliosa versatilità della sfoglia all’uovo, uno di quelli che potete preparare all’ultimo momento sfruttando gli avanzi delle “lasagnate” domenicali. La preparazione è tanto semplice quanto soddisfacente: sarà sufficiente stendere la sfoglia (preparata alla vecchia maniera, magari aggiungendo un goccio di rum), cospargerla con una farcia a base di zucchero e abbondanti zeste di arancia e di limone, per poi avvolgerla e ricavare dei dischi di tagliatelle naturalmente destinati a essere fritti.

Ci congediamo con questa chicca irresistibilmente croccante e profumata per lasciarvi con l’acquolina in bocca in attesa delle prelibatezze “mascherate” tipiche del Centro Italia.

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