Un doppio veto in 48 ore. Dopo che il Viminale ha ordinato al Comune di Milano di non registrare più i figli delle coppie dello stesso sesso, la maggioranza di centrodestra ha bocciato al Senato il certificato europeo di filiazione. Votando in commissione Politiche europee una risoluzione contraria all’adozione del regolamento.
Il certificato di filiazione è un documento unico in grado di provare la filiazione dei minori e garantire ai genitori residenti in Unione europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri. Nella proposta, avanzata dalla Commissione europea, c’era l’obiettivo di conferire maggiore uniformità in materia di diritto internazionale privato e allargare il ventaglio di tutele per le famiglie omogenitoriali.
Quella della commissione, in pratica, era una proposta che prevedeva che la genitorialità in uno Stato membro fosse riconosciuta negli altri. Mentre per gli altri genitori non cambierebbe nulla.
Il testo contrario, firmato dall’ex ministro Giulio Terzi di Sant’Agata (Fratelli d’Italia), sostiene invece che l’obbligo di riconoscimento del certificato Ue di filiazione non rispetti i principi di «sussidiarietà e proporzionalità», per cui se venisse adottato sarebbe un’invasione del diritto europeo su quello nazionale. In un passaggio dice: «Le autorità degli Stati membri non potrebbero negare, per motivi di ordine pubblico, il riconoscimento di una decisione giudiziaria o di un atto pubblico che accertino la filiazione nei confronti dei due genitori in una coppia dello stesso sesso per il solo motivo che i genitori sono dello stesso sesso».
Non si tratta, come ha detto il leghista Claudio Borghi, di uno «sdoganamento della compravendita di bambini», perché la bozza sul punto è molto chiara. «Se la proposta passasse, ogni Stato continuerebbe ad applicare ai propri cittadini le vecchie regole nazionali. Semplicemente, le coppie che si spostano in un altro Paese dell’Unione, vedrebbero riconosciuti più agevolmente i diritti del minore già acquisiti nello Stato di provenienza», spiega a Repubblica l’avvocato Alexander Schuster, uno dei massimi esperti della materia in Italia. In sostanza, «il figlio di una coppia omosessuale regolarizzato in Germania, se i genitori si trasferissero per lavoro in Italia, avrebbe gli stessi diritti tedeschi, sempre che lo Stato italiano non invochi la contrarietà ai propri valori fondamentali».
Lo stesso ha provato a spiegare ieri in Senato la capogruppo del Pd, Simona Malpezzi: «Il regolamento Ue non andava a intaccare ordinamenti e leggi italiane ma semplicemente metteva al primo posto il diritto prioritario dei minori». Tutele importanti come la successione, i diritti alimentari o il diritto dei genitori di agire in qualità di rappresentanti legali, per motivi di scolarizzazione o di salute.
Ma la destra ha comunque voluto dare un segnale. E con 11 voti a favore su 18, ha fatto passare nella Commissione Politiche Ue di Palazzo Madama la risoluzione che stronca il regolamento.
L’ex presidente della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio spiega in un’intervista a Repubblica: «La nostra Costituzione non impone che vi sia un riconoscimento da parte della coppia, pur valorizzando la dignità e il ruolo sociale di questi tipi di unione. È inevitabile quindi che, in concreto, la scelta del legislatore risenta degli orientamenti ideologici e politici del momento».
Sabato a Milano ci sarà un presidio promosso dal Pd e organizzato dalle realtà Lgbtq+ «contro l’apartheid giuridico». Invitati, oltre al sindaco meneghino Beppe Sala, la segretaria Elly Schlein e il deputato Alessandro Zan.