Cln, no grazie. Se Elly Schlein (con Maurizio Landini) accarezzava l’idea di un comitatone informale, un tavolo permanente o comunque di un antipasto di coalizione tra i partiti di opposizione, Carlo Calenda l’ha messa giù chiara chiara: «Sul merito dei problemi possiamo discutere sempre, ma niente Comitati di liberazione nazionale anche perché grazie a Dio non c’è il fascismo».
La foto di Rimini non è la foto di Firenze della manifestazione antifa e dunque restituisce l’immagine di un’opposizione che regge in quanto tale, ma che non è la prefigurazione di un’alleanza di governo e anche qui è colpa, o merito, di Calenda aver detto alla tavola rotonda ospitata nel congresso della Cgil a Rimini parole lapidarie: «Non potrò governare con voi».
Lo ha detto agli altri leader presenti, Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, la prima osannata, il secondo acidulo, il terzo evanescente. E Calenda ha fatto Calenda, ringraziato pure da Landini per la chiarezza.
E dunque, contro questo governo di destra, tutti insieme, non c’è chi abbia dubbi: sulla sanità pubblica, sulla scuola, sul fisco (prossima tappa di battaglia), Meloni deve sapere che non riuscirà a incunearsi tra le opposizioni, dopodiché il campo è tutto aperto.
Azione e Italia viva, che stanno concretamente lavorando al processo che porterà al partito unico (nome provvisorio, solo provvisorio: Italia in azione) – martedì via libera al documento finale – invitando ufficialmente Più Europa ora diretta da Riccardo Magi, marcano le distanze da un incombente asse tra il Pd schleinizzato e Giuseppe Conte, e Calenda lo fa sulla base delle idee: sull’Ucraina non sono d’accordo con voi, e agli interlocutori, e alla platea che subito rumoreggia, dice: «Regà, volete che vi dica “All you need is love” o che parli chiaramente?» – ed è l’inizio di un duello con i delegati che battono le mani a Conte che ironizza sui presunti voti di Calenda «e del tuo amico Renzi» insieme alla destra.
Al che, il leader di Azione si è scatenato: «Non è mai successo. Visto che applaudite, mi dite quando avrei votato con la destra? Sulla guerra? Ma allora ho votato anche insieme al Pd. È di destra il Pd? Prima di applaudire come pecoroni, informatevi e leggetevi qualche numero».
Inevitabilmente quel «pecoroni» non piace e giù fischi. Ma al di là del colore (twitterà poi Calenda: «Ho detto le cose che pensiamo dritte per dritte senza retorica e fiocchetti. E mi sono anche divertito, bel confronto») si è assistito a due modi di concepire non solo il ruolo dell’opposizione ma proprio quello della lotta politica.
Se si chiede tutto – come un po’ sta facendo Schlein, che all’inizio del mandato ha bisogno di pescare consenso a mani basse – alla fine non si capisce più quali siano le priorità, e il rischio che il nuovo Pd corre è proprio quello di rigirare una gigantesca marmellata di istanze, richieste e parole d’ordine fabbricando un accumulo di messaggi alla fine nemmeno tanto facilmente decifrabili.
Scegliere, bisogna: è il senso del discorso di Calenda. Schlein dice di «aver amato questo confronto», spera di «chiudersi in una stanza» e non uscirne finché non si sia d’accordo, ma intanto poco prima Conte aveva bombardato il Jobs Act e meno male che non si è parlato di Ucraina o dei decreti sicurezza del governo Conte-Salvini o dei termovalorizzatori: non si voleva rovinare la festa a Landini e Schlein, ma poi ci ha pensato Calenda. Ancora da costruire, ma è un’altra linea.