È evidente che il piano di pace per il conflitto ucraino proposto dalla Cina non farà strada perché in realtà fa solo il gioco della Russia e infatti è subito stato rifiuto da Washington. Ma la notizia del pronto e acceso interesse di Volodymyr Zelensky a incontrare comunque e rapidamente XI Jinping ribadisce una novità a dir poco sconvolgente nelle relazioni internazionali: una nuova superpotenza, la Cina appunto, intende e sa giocare un ruolo determinante di mediazione diplomatica nelle crisi mondiali.
Finisce dunque l’era ventennale nella quale la diplomazia di Pechino si è impegnata solo e unicamente in un intensissima tessitura di relazioni bilaterali in Asia, Africa e America Latina a proiezione della propria potenza (culminata nella Belt and Road Initiative) e si presenta un nuovo attore pesante in grado di mediare con successo su crisi che non lo coinvolgono. Ruolo che sinora e per decenni dopo la caduta del Muro di Berlino e il fallimento dell’Urss hanno giocato solo gli Stati Uniti in perfetta solitudine.
Non è per nulla casuale ed è rivelatrice del nuovo pieno status diplomatico internazionale della Cina, la contemporaneità tra la sua proposta sul conflitto in Ucraina, la lunga visita di Xi Jinping a Mosca dall’amico del cuore Vladimir Putin e la sua mediazione perfettamente riuscita tra l’Iran e l’Arabia Saudita che ha fatto della Cina, secondo alte fonti diplomatiche saudite, «un grande attore della sicurezza e della stabilità della regione».
Infatti, proprio nel Golfo, regione di importanza strategica per l’Occidente come per la Cina dal punto di vista energetico, ma assolutamente estranea alla sfera di influenza di Pechino e proprio con uno degli – ex – alleati storici di Washington, il regno Saudita, Pechino ha dimostrato una straordinaria fantasia diplomatica e una altrettanto inaspettata concretezza di mediazione. Il tutto, col risultato di una emarginazione sostanziale degli Stati Uniti da una regione di propria influenza storica e diretta – pessimo risultato per una Amministrazione Biden in affanno in tutto il Medio Oriente – con sviluppi potenzialmente sorprendenti nelle relazioni tra Ryad e Teheran. Sviluppi che non a caso preoccupano enormemente Israele che sino a ieri aveva costruito nel suo rapporto sotterraneo con Mohammed Bin Salman il caposaldo della propria difesa dalle minacce iraniane.
Ora, è evidente l’intento di Xi Jinping, di non impuntarsi sul primo progetto di mediazione sul conflitto in Ucraina ma di obbligare gli Stati Uniti, l’Europa e quanti sostengono Kyjiv a prendere atto di una nuova realtà: per arrivare a un cessate il fuoco in Ucraina e a qualsiasi ulteriore accordo bisognerà passare per Pechino. Altra strada non c’è.
La Cina, oltre ad avere imbastito con la Russia e col “Global South” una consistente alleanza di blocco basata su valori opposta a quella dell’Occidente, si è presa anche il vantaggio dell’iniziativa sul piano diplomatico planetario.
È questa una novità che spiazza Washington che si troverà da qui alle prossime settimane ad affrontare un Vladimir Putin con le spalle potentemente protette da un XI Jinping che sviluppa un doppio ruolo: alleato indispensabile della Russia e assieme potenziale e paziente mediatore.
Il tutto a fronte di una nuova, inedita, diplomazia cinese che recupera, dopo decenni di abbandono, la vigorosa capacità di iniziativa diplomatica di Zhou Enlai, il geniale capo del governo e ministro degli Esteri di Mao Tse-tung, che negli anni cinquanta favorì potentemente il Movimento dei Non Allineati sorto dalla Conferenza di Bandung che tanti grattacapi diede a Washington per decenni e che seppe in seguito, con sottile sapienza, collaborare con Henry Kissinger per la svolta che negli anni settanta portò al ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e al conseguente ingresso di Pechino nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Super potenza economica e militare, la Cina intende ora spendere la sua forza sul piano diplomatico globale e ha la forza per farlo. Volodymyr Zelensky e Joe Biden ne devono prendere atto: non possono più contare strategicamente a difesa degli interessi dell’Ucraina solo sulla debolezza crescente di un Vladimir Putin così fortemente spalleggiato dal nuovo mediatore cinese.