«Eravamo tutti al buio nelle prime due settimane: è chiaro che oggi, con le conoscenze acquisite, la vediamo in maniera diversa, ma sindacare sulle decisioni prese in quel momento è profondamente sbagliato e rischioso». Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, uno dei virologi più noti del periodo pandemico, in un’intervista al Corriere dice che ci sono un «prima» e un «dopo» nella valutazione delle decisioni prese dagli attori in campo che si occuparono di gestire l’emergenza Covid nelle prime fasi della pandemia.
E con l’inchiesta della Procura di Bergamo, prosegue, «si rischia di buttare benzina sul fuoco dei negazionisti e dei no vax, che prendono l’indagine come una vittoria. Non solo, in caso di condanne (le accuse sono a vario titolo di epidemia colposa e omicidio colposo, ndr) nessuno più si prenderà la responsabilità di decidere, in mancanza di evidenze scientifiche, per il timore di essere inquisito. È un pericoloso precedente».
Secondo Bassetti, «purtroppo ci sono state vittime non perché qualcuno abbia sbagliato, ma perché è arrivato un virus sconosciuto. Mettere qualcuno sulla graticola è sbagliato. Invece, mi sono convinto che sia giusto il lavoro della commissione parlamentare bicamerale che stabilisca non tanto il colpevole, ma che cosa abbia o non abbia funzionato nell’intero periodo pandemico, così da non ripetere gli sbagli».
Dopo il primo periodo, «già a maggio 2020 avevamo conoscenze molto diverse sul virus e ho sempre criticato alcune scelte dell’allora governo: sicuramente siamo stati il Paese con i lockdown e la chiusura delle scuole più duraturi (e oggi ne vediamo gli effetti sui nostri ragazzi)».
Ma l’istituzione il 27 febbraio della Zona rossa in Val Seriana avrebbe risparmiato la vita a 4mila persone come dice la perizia di Crisanti? «È evidente che avrebbe aiutato a ridurre la diffusione del contagio, ma gli elementi che avevano in mano i decisori politici e tecnici in quel momento erano sufficienti per prendere quella decisione? Non scordiamo che la Zona rossa a Codogno era stata istituita una settimana prima e non si erano ancora visti risultati positivi», risponde Bassetti.
Il piano pandemico, che risaliva al 2006, «conteneva alcune indicazioni che, se fossero state applicate, sarebbero servite. Ad esempio un sistema di sorveglianza sentinella che avrebbe potuto intercettare i casi di polmonite atipica che si erano verificati prima della “scoperta” del paziente 1».
Ma c’è una cosa che è andata per il verso giusto, spiega il professore: «Il punto più alto è stato la campagna vaccinale coordinata dal generale Figliuolo, un fiore all’occhiello per l’Italia. Altra eccellenza, tra il 2020 e il 2021 siamo stati il primo Paese in Europa e il quarto al mondo nella redazione di articoli scientifici sul Covid. Per questo mi spiace che l’immagine dell’Italia che passa attraverso l’inchiesta di Bergamo sia quella di un Paese allo sbaraglio».