Innocenti evasioni La nuova vita di Tommaso Arrigoni

Lo chef che ha portato tra i primi il pensiero sul vegetale in città, con un menu verde in carta già venticinque anni fa, per il quarto di secolo della sua attività cambia casa professionale e trova un nuovo giardino con orto ad aspettarlo

Ricordo ancora molto bene la mia prima cena nel ristorante di via privata della Bindellina, venticinque anni fa. Erano i miei primi anni nel settore, Tommaso era un giovane e promettente chef appena uscito dall’istituto alberghiero milanese. I suoi docenti erano professionisti d’altri tempi, e la tecnica di cucina era ancora una materia di insegnamento importante. Dalla sua classe sono usciti tanti professionisti, e da quella generazione Milano si è arricchita gastronomicamente.

Ricordo quella cena per la sua piacevolezza, in quel tavolo d’angolo che dava sul giardino orientale, un luogo così inconsueto per quella zona di Milano, che è diventato da subito un riferimento per le cene romantiche, i festeggiamenti, e le dichiarazioni. Ma ricordo soprattutto il mio stupore alla vista della carta: c’erano tre menu degustazione, e già questo non era così banale per l’epoca dove dominavano le scelte à la carte. Accanto ai classici pesce e carne spiccava fiero un menu interamente vegetariano. Scontato, penseranno i miei giovani lettori. Avanguardistico, pensai io allora: perché di vegetariani ce n’erano davvero pochi, e soprattutto quei pochi non erano di sicuro nella mente dei ristoratori, meno che mai degli chef di fine dining. Chi aveva eliminato la carne dal menu, e voleva andare al ristorante, andava da Pietro Leeman al Joia, e in pochissimi altri posti. Gli altri stavano a casa, o mangiavano tristi insalate mentre gli amici gustavano piatti prelibati.

Arrigoni ha fatto fin da subito scelte controcorrente, ha sempre portato avanti la sua idea di ristorazione con grande concretezza e grande efficacia imprenditoriale. Un altro punto a suo favore, quando nella Milano ancora da bere tutti facevano scelte opposte, anteponendo promozione, comunicazione, design, storytelling alla cucina concreta e al bisogno di fare cassetto per far stare in piedi il locale.

Ebbene sì: la sostenibilità economica di un luogo che fa ristorazione non è affatto un dettaglio, né tantomeno un affare da nascondere perché non è cool dire che questi luoghi del gusto devono prima di tutto essere attività floride e senza debiti. Ma senza quel tipo di sostenibilità, difficile parlare delle altre. E forse questa visione imprenditoriale, insieme alle indubbie abilità gastronomiche, alle scelte enologiche sempre curatissime e alla voglia di portare in città una ristorazione di grande livello hanno premiato questo professionista, arrivato alla stella Michelin con le sole forze del lavoro, e del cervello.

Ricordo bene anche quel momento: l’assegnazione allora era fatta al telefono, e per non so bene quali giri ho comunicato io allo chef che era arrivata. Stava facendo la spesa, e ci ha messo un po’ a credermi. Eppure, anche in quell’occasione il pragmatismo ha prevalso, e nulla è cambiato, se non le difficoltà di prenotazione.

Oggi, invece, a distanza di venticinque anni dal primo servizio di Innocenti Evasioni, l’8 aprile del 1998, il ristorante cambia pelle, cambia struttura, cambia impostazione e cambia luogo. Il trasferimento era atteso e cercato da tempo: erano anni che lo chef non si sentiva più a suo agio nella piccola stradina della vecchia Milano che lo ha accolto e guidato, ed è stato il suo angolo a lungo. La ricerca è stata lunga ma fruttuosa: e oggi finalmente, l’8 Aprile di venticinque anni dopo, Innocenti Evasioni cambia indirizzo e apre in via Candiani 66. L’entusiasmo che accompagna questo cambiamento è palpabile dalla voce emozionata ed eccitata dello chef: «È il posto più bello di Milano! Siamo riusciti a fare un’operazione pazzesca: mai nella vita avrei pensato di fare un’operazione imprenditoriale del genere. Adesso c’è da lavorare tanto, perché i costi di questa nuova struttura sono importanti. Ma è alto anche il potenziale: il giardino è molto più grande, avremo anche un orto, posizionerò le arnie, ci sarà il fotovoltaico» perché il lato green non è solo una moda, qui, o una visione di marketing, ma una certezza che si perpetua nel tempo, e che torna a quel menu vegetariano che venticinque anni fa ha conquistato Milano. E che, siamo certi, continuerà a farlo anche in questa nuova, luminosissima sede.

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