A Capodanno si fissano i buoni propositi – sarò più buono, smetterò di fumare, leggerò di più, e quant’altro – e ieri per il Partito democratico è stato come a Capodanno: basta liti, basta capibastone, basta correnti, basta compromessi. Un anno zero che ha il volto gentile e al tempo stesso battagliero della nuova leader, Elly Schlein, “incoronata” dalla nuova assemblea nazionale, un “parlamento” che è apparso ieri più unito del recente congresso del partito comunista cinese, dopo anni di wrestling interno e di massacri nel buio, anche grazie alla prevista pax con Stefano Bonaccini, lo sconfitto diventato alleato della leader – come si dice – per il bene del partito («Non mi sento minoranza e men che meno opposizione»).
C’era qualcosa di nuovo, ieri, alla Nuvola di Fuksas. Anzi d’antico, nel senso di un ritrovare la diritta via ch’era smarrita, un riposizionamento da sinistra socialdemocratica un po’ da anni Ottanta – gli anni delle vacche grasse –, e dunque scuola gratis, sanità gratis, lavoro a tempo indeterminato, case per tutti, giovani, donne, Mezzogiorno, alè. Tutte cose in sé giuste e talune sacrosante, ma – ahimé – sul come fare l’asino casca o perlomeno claudica.
Altro che Draghi, siamo più a sinistra del Pds. Bell’applauso a Livia Turco, Susanna Camusso entra in Direzione, ma non basta, entrano anche due ”sardine”, Mattia Sartori e Jasmine Cristallo, così è il volto del nuovo Pd. Renzi mai nominato (per fortuna sua). Non si è parlato molto di alleanze, almeno in senso strategico, ed è chiaro che Schlein non poteva certo delineare un programma di governo, nemmeno una piattaforma di politica economica. Ma insomma tutti questi soldi necessari per un forte welfare socialdemocratico da dove verrebbero tirati fuori?
La risposta per ora è nel vento (qualcuno accenna a patrimoniali) e certo la situazione aiuta, nel senso che il Pd non governa e non governerà per alcuni anni almeno. Però la leader ha promesso che a ogni bocciatura di una proposta del governo i Dem assoceranno una proposta alternativa: dunque vedremo.
D’altra parte non è certo su queste cose di merito che un partito uscito bastonato dalle urne può rianimarsi, ma sull’orgoglio e la fiducia («Il clima è cambiato») e soprattutto sulla identità ritrovata, con annesso tutto il bagaglio di promesse annunciate milioni di volte, i circoli che devono contare di più, il rinnovamento generazionale, la fiducia tra i dirigenti e via con il juke-box che i militanti vogliono ascoltare.
C’è da dire che nella sua nuova parte Elly Schlein è stata perfetta, nel modo di porgere le questioni, nel tratto garbato ma fermo, nell’entusiasmo che sa di saper suscitare, fino alla roboante chiusa della replica tutta contro una Meloni che solo a chiacchiere ha rotto il tetto di cristallo, il Pd lei lo ha già conquistato, la sua posizione è molto forte, corroborata anche da un buon grumo di carisma. Può contare su Bonaccini che si è subito sintonizzato, ed è stata una gara a chi è più tosto contro il governo Meloni: compito non difficile, specie dopo Cutro e il karaoke (la riunione è finita con la segretaria che ha dato le prime notizie sulla nuova tragedia al largo della Libia – e su questo punto aveva rimarcato la più drastica rottura con la linea di Marco Minniti).
E poi c’è la questione della guerra sulla quale Schlein era molto attesa. Ecco cosa ha detto: «Dobbiamo continuare a sostenere in modo pieno il popolo ucraino, ma accanto a questi dobbiamo chiedere un protagonismo più forte dell’Europa per un sforzo politico e diplomatico». È la sua posizione di sempre. Con quel “ma”, quella seconda proposizione che o è rituale (chi non vuole uno sforzo politico?) o allude a un’altra tesi: quella di chiudere la guerra in qualche modo qui e ora.
Come dirà più tardi il nuovo iscritto Arturo Scotto, dirigente di Articolo Uno, «non mi rassegno alla inevitabilità della guerra, non mi rassegno che l’unica soluzione sia quella militare». E in mezzo Gianni Cuperlo che si era dilungato sulla «complessità» della situazione che invece a Kijiv è chiarissima, ovvero combattere fino alla cacciata dei soldati di Putin.
È ovvio che con queste indicazioni il “sentiment” dell’Assemblea nazionale sia del tutto diverso da quello di un anno fa o anche solo di sei mesi fa: pur senza toglierlo, l’appoggio all’Ucraina è più freddo, assomiglia a un fardello di cui volentieri ci si sbarazzerebbe, e di genuino e sincero atlantismo qui c’è giusto un sentore, a dire tanto. Quanto poi all’enorme capitolo della modernizzazione del Paese, della produttività delle aziende, della ricerca come volano per la crescita, del problema della conquista di fette di mercato mondiale, di tutto questo né Schlein né altri hanno parlato, fatto salvo un accenno della segretaria sull’idea della Cisl della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende.
Sulla vita interna, si è detto, c’è voglia di ripulire l’aria, Schlein vuole «una primavera» anche da questo punto di vista. Il rinnovamento è iniziato con le due vice, Chiara Gribaudo e Loredana Capone. Soprattutto basta «con le sacche di clientele e di malapolitica», ha detto Pina Picierno, e con i padroni delle tessere. Alcuni di loro presenti in sala hanno applaudito. La primavera di Elly è cominciata.