Come si può spiegare l’interesse per il populismo? Naturalmente, i beneficiari del clientelismo e del legalismo discriminatorio vi ritroveranno elementi da apprezzare. Comunque, suggerirei anche che il successo del populismo può essere correlato alle cosiddette promesse della democrazia che non sono state mantenute e che semplicemente, in un certo senso, non possono esserlo nelle nostre società. Nessuno ha mai espresso ufficialmente tali promesse, che assomigliano per lo più a ciò che talvolta viene definita la «teoria popolare della democrazia» o a convinzioni che spiegano non solo il richiamo della democrazia nel mondo moderno ma anche i suoi periodici fallimenti.
In parole povere, la promessa fondamentale è che il popolo può governare. Almeno in teoria, i populisti sostengono che il popolo nel suo insieme non solo ha una volontà comune e coerente, ma che può anche governare, nel senso che i suoi opportuni rappresentanti possono soddisfare le richieste che ha espresso sotto forma di un mandato imperativo. Molte convinzioni iniziali sulla democrazia possono essere ricondotte a questo quadro: la democrazia è un autogoverno e, in linea di principio, non è solo una maggioranza ma l’insieme a poter governare.
Persino nella democratica Atene questa era solo una parte della storia. Comunque, fu Atene ad avvicinarsi maggiormente alla democrazia, nel senso di coltivare una sensazione di capacità collettiva e di impegnarsi effettivamente nell’azione comune (pur riconoscendo, fondamentalmente, che i cittadini governano e vengono a loro volta governati – non esiste democrazia senza un opportuno avvicendamento a livello di cariche pubbliche). Bisogna essere piuttosto ottusi per non comprendere il richiamo di un simile concetto di controllo collettivo del proprio destino, e chi si affligge per la sua perdita è perdonabile.
Ebbene, i populisti parlano come se queste promesse potessero essere mantenute. Parlano e agiscono come se il popolo potesse sviluppare un solo giudizio, una sola volontà e dunque un solo, inequivocabile mandato. Parlano e agiscono come se il popolo fosse uno solo e qualsiasi opposizione, sempre che ne venga riconosciuta l’esistenza, fosse destinata a scomparire. Parlano come se il popolo, purché siano stati delegati i giusti rappresentanti, potesse prendere in mano il proprio destino. Di certo, non discutono della capacità collettiva del popolo in quanto tale, e non pretendono che il popolo possa effettivamente occupare in prima persona le cariche dello Stato. Come ho sottolineato, il populismo è concepibile unicamente nel contesto della democrazia rappresentativa.
Ora dovrebbero essere chiare le principali differenze tra democrazia e populismo: la prima consente a una maggioranza di autorizzare dei rappresentanti le cui azioni potrebbero risultare più o meno conformi alle sue attese o ai suoi desideri; il secondo pretende che non si possa mettere in discussione alcuna azione del governo populista, perché «il popolo» ha così voluto. La prima presuppone che maggioranze mutevoli abbiano giudizi fallibili, contestabili; il secondo immagina un’entità omogenea esterna a tutte le istituzioni la cui identità e le cui idee possono essere pienamente rappresentate.
La democrazia presuppone un popolo fatto di individui, per cui alla fine contano soltanto i numeri (alle elezioni); il populismo dà per scontata una «sostanza» più o meno misteriosa, oltre al fatto che anche un numero elevato di individui (persino nei casi in cui costituisca la maggioranza) può non riuscire a esprimere quella sostanza in modo opportuno. La prima presuppone che le decisioni prese nel rispetto di tutte le procedure democratiche non sono «morali» in un senso tale per cui ogni opposizione debba invece essere considerata «immorale»; il secondo postula una decisione propriamente morale persino in circostanze di profondo disaccordo sulla moralità (e sulla politica).
L’ultimo e più importante punto, è che per la democrazia «il popolo» può apparire solo in un modo istituzionalizzato e, in particolare, una maggioranza (e persino una «maggioranza schiacciante», espressione cara a Vladimir Putin) in parlamento non è «il popolo» e non può parlare in suo nome; il populismo presuppone esattamente il contrario.
Da “Cos’è il populimo” di Jan-Werner Muller, Egea, 176 pagine, 17,10 euro