Due rate in bilicoLa metà delle misure del Pnrr è in ritardo: finora speso solo il 6 per cento dei fondi

Nella relazione alle Camere che la Corte dei conti presenterà il 28 marzo, anticipata dal Sole 24 Ore, viene fuori che la realizzazione è ferma allo 0,5 per cento per la salute, 1,2 per cento per l’inclusione e 4,1 per cento nella scuola. Per rimediare, dovremmo spendere 40,908 annui nel 2024-2025, ma non ci crede nessuno. Tantomeno il governo, impegnato pure a negoziare sui balneari

(La Presse)

L’Italia è in ritardo. L’erogazione dei fondi del 2022 è ancora ferma e sulla spesa del 2023 siamo in affanno. La rincorsa di Roma per non perdere i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza è finita sul tavolo dell’incontro fra il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni e il ministro Raffaele Fitto.

Gentiloni e Fitto, si apprende da una nota di Palazzo Chigi, «hanno effettuato una disamina degli obiettivi in merito ai quali è ancora in corso un’interlocuzione fra il governo e i servizi della Commissione».

Nella relazione alle Camere che la Corte dei conti presenterà il 28 marzo, anticipata dal Sole 24 Ore, viene fuori che è stato speso solo il 6 per cento dei fondi e che metà delle misure è in ritardo: realizzazione allo 0,5 per cento per la salute, 1,2 per cento per l’inclusione e 4,1 per cento nella scuola.

I magistrati contabili calcolano in 20,441 miliardi la spesa effettiva realizzata a fine 2022. Con un aggiornamento al 13 marzo scorso, si sale a 23 miliardi legati a 107 delle 285 misure elencate dal Pnrr. Il tasso di realizzazione si attesta quindi al 12 per cento delle risorse complessive messe a disposizione da qui al 2026. Ma il valore della spesa complessiva è largamente influenzato dagli incentivi italiani, soprattutto i crediti d’imposta di transizione 4.0 e quelli relativi ai bonus edilizi: investimenti automatici che però non misurano l’effettiva capacità di spesa pubblica per i nuovi progetti del piano. Depurando la spesa dagli incentivi, quindi, i numeri si fanno ancora più sottili: i miliardi spesi sono 10,024, fermandosi quindi al 6 per cento del totale.

In controtendenza solo la Missione 3, quella delle Infrastrutture per la mobilità sostenibile, che scatta al 16,4 per cento di spesa grazie agli appalti delle ferrovie. Per il resto, si arranca in tutte le missioni. Per rimediare, il programma prevede una impennata necessaria della spesa: si dovrebbe passare dai 20,44 miliardi dei primi tre anni ai 40,908 annui del 2024-2025. Una accelerazione a cui non sembra credere nessuno. Tantomeno il governo, che continua a Bruxelles il negoziato sul ripensamento del piano.

Anche perché, nonostante il governo abbia dichiarato raggiunti i 55 obiettivi fissati per fine 2022, i tecnici di Bruxelles hanno segnalato che invece non è tutto in ordine. Repubblica parla di cinque obiettivi ancora sotto la lente dell’Ue. Bruxelles ha concesso un mese in più di tempo all’Italia – fino al 31 marzo – per mettersi in regola: in palio ci sono 19 miliardi di euro, ovvero la terza tranche dei fondi del Pnrr.

Ma nel frattempo, ci sono ritardi sulla scadenza intermedia della quarta rata, che scade a giugno e che vale invece 16 miliardi. Dei 13 target previsti entro fine marzo, solo cinque sarebbero stati raggiunti: tra i nodi principali c’è il nuovo codice sugli appalti. La riforma dovrebbe essere approvata martedì in consiglio dei ministri, ma il governo chiede all’Unione europea di accettare un rinvio della sua entrata in vigore, dal secondo semestre di quest’anno al 2024.

Il governo chiede maggiore flessibilità a Bruxelles. E cerca di far inserire nel programma anche i progetti del Repower Ue, iniziative per la diversificazione energetica per ora fuori dal Pnrr che sostituirebbero alcuni obiettivi ritenuti irrealizzabili per l’aumento del costo delle materie prime e consentirebbero un più facile utilizzo delle risorse.

Il negoziato, a tutto campo, prosegue anche sulla questione dei balneari, da risolvere per ottenere una maggiore benevolenza da parte dell’Europa. Bruxelles chiede che si facciano le gare, il governo ha preparato un dossier che vede al primo punto la mappatura delle spiagge. L’esecutivo è comunque a un bivio: deve decidere se puntare all’avvio delle gare con dei paletti per salvaguardare chi ha fatto in passato degli investimenti o se chiedere all’Europa più tempo per la mappatura.

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