Dopo un weekend frenetico, alla fine si è trovata l’intesa. Ubs acquista la rivale Credit Suisse per oltre 3 miliardi di franchi svizzeri in azioni, in uno storico accordo per cercare di disinnescare la crisi in atto nel sistema bancario. Banca centrale e governo hanno fornito il concreto supporto all’operazione, fornendo 100 miliardi di liquidità a Ubs nel caso fosse necessario attutire l’impatto dell’acquisizione e garantendo alla stessa 9 miliardi di potenziali perdite. Inoltre il governo ha modificato le leggi in vigore per permettere a Ubs di concludere l’operazione subito, senza aspettare sei settimane per avere l’approvazione degli azionisti.
L’amministratore delegato di Ubs, Ralph Hamers, sarà alla guida della banca che nascerà dalle nozze con Credit Suisse. Colm Kelleher, che sarà il presidente, ha detto: «L’integrazione rafforza la Svizzera come centro finanziario globale». In cambio dell’operazione, effettuata su pressione di politica e regolatori, Ubs ha ottenuto diverse altre misure a sostegno del salvataggio.
Intanto, le cancellerie di tutta Europa si stanno tenendo in contatto – scrive Repubblica. Il caso Credit Suisse non è un allarme che può essere contenuto all’interno dei confini svizzeri. La memoria va all’effetto domino scattato nel 2008 e partito dagli Stati Uniti è ancora vivida. Il pericolo è che gli investitori e gli speculatori inizino a puntare sulle debolezze complessive delle banche. Se così fosse, l’analisi reale della situazione conterebbe molto meno. L’emotività avrebbe la meglio.
Il punto, infatti, è che nonostante l’intesa raggiunta ieri in extremis, nessuno ha la garanzia che tutto possa finire già oggi. Anche la clausola che consente a Ubs di tirarsi indietro se il valore dei credit default swap (i titoli che quotano il rischio fallimento) dovessero alzarsi troppo, mantiene un alone di sospetto e sfiducia. E in quel caso la reazione dei mercati sarebbe intensa.
Tra quattro giorni, quando si riunirà il Consiglio europeo, i leader dell’Ue ne dovranno discutere. Questo argomento, dunque, diventerà il cuore del summit. E nei colloqui informali delle ultime ore iniziano a spuntare anche delle possibili contromisure da mettere in campo se la “malattia” speculativa non si dovesse arrestare.
Tutto si basa sulla circostanza che se l’acquisito da parte di Ubs dovesse in qualche modo saltare, toccherebbe di nuovo allo Stato Svizzero salvare l’istituto. Come già avvenuto circa quindici anni fa. Nazionalizzato e poi ricollocato sul mercato. Più o meno come è accaduto per l’Italia con Monte dei Paschi di Siena. Se, quindi, la strada fosse questa l’Unione europea dovrà studiare una nuova revisione delle regole sugli aiuti di Stato.
L’idea, tenuta nel cassetto delle emergenze, è allora quella di prevedere una misura specifica di aiuti di Stato sulle banche. Il ragionamento è semplice: se in questa fase così delicata, con l’inflazione alta e una crescita ancora immatura, si dovesse assistere inerti ad un altro colpo sul sistema bancario, tutti gli sforzi di questi mesi verrebbero compromessi. Una ipotesi che si basa sul timore che una eventuale speculazione si abbatterebbe sulle banche meno attrezzate e sui Paesi più fragili. E con Paesi più fragili si intendono quelli con un debito pubblico più alto come l’Italia.
La scelta di alzare giovedì scorso il tasso di sconto è avvenuta dopo una aspra battaglia dentro il board della Bce che ha visto contrapposti come al solito i “falchi” del nord e le “colombe” del sud. Al Consiglio europeo di giovedì prossimo inevitabilmente, oltre a parlare dell’allarme banche, i capi di Stato e di governo si confronteranno anche sulla politica monetaria.