Push factorCinque proposte per gestire l’emergenza migranti in Europa senza muri né rimpatri illegali

Se i 27 Stati membri vogliono risolvere alla radice le ragioni che portano i migranti sulle nostre coste bisogna applicare alla cooperazione allo sviluppo e agli aiuti alimentari la condizionalità del rispetto dei diritti fondamentali

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Fra i “doni” inviati dal governo italiano a una delle fazioni al potere in Libia – quando il ministro degli interni era Marco Minniti – ci sono i pattugliatori polivalenti d’altura (PPA) costruiti nei cantieri navali italiani con compiti di sorveglianza marittima e con caratteristiche di attività antidroga, anticontrabbando e antipirateria e, in quanto unità militari, equipaggiati con cannoni di piccolo o medio calibro, mitragliere o anche piccoli siluri. Pur essendo dotati di imbarcazioni o mezzi non pilotati, il loro ruolo di operazioni di soccorso in mare è limitato e ostacolato essendo privilegiata l’attività di contrasto ai flussi migratori.

Dopo anni di generiche condanne delle violazioni del diritto di asilo e dell’obbligo di salvataggio in mare, la Commissione europea e in particolare Ursula von der Leyen hanno deciso di schierarsi dalla parte di chi sostiene il progetto di una strategia operativa europea di rimpatri e di respingimenti

  • prima con un irrituale e confidenziale “documento politico” del 24 gennaio 2023 (COM(2023)45 def.) presentato ai governi come un «contributo della Commissione al processo di sviluppo della strategia operativa per rimpatri più efficaci», 
  • poi con la lettera della Presidente della Commissione europea ai 27 alla vigilia del Consiglio europeo del 9 febbraio, 
  • quindi con la decisione di affiancare ai “doni” del governo italiano degli  aiuti finanziari e strumentali a una delle fazioni al potere in Libia
  • e infine con una nuova lettera della Presidente della Commissione europea ai 27 prima del Consiglio europeo del 23-24 marzo.

La nuova linea dettata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in materia di politica migratoria così come il frettoloso compromesso sulle cosiddette “auto-elettriche” (che, a questo punto, non saranno più solo elettriche) per compiacere il partito liberale tedesco e l’accordo sugli aiuti di Stato sono parte della campagna avviata dalla ex-ministra della difesa di Angela Merkel per facilitare la sua rielezione alla testa dell’esecutivo europeo dopo le elezioni europee nel 2024 e contrastare l’idea di Manfred Weber di una coalizione di centro-destra in salsa italo-svedese con l’obiettivo di puntare sull’attuale presidente maltese del Parlamento europeo, Roberta Metsola, come Spitzenkanditatin.

Dopo la strage di Steccato di Cutro ed il rimpallo di responsabilità fra le autorità italiane e l’Agenzia di frontiera europea Frontex, la prima conseguenza drammatica di questo nuovo approccio è stata vissuta da Alarm Phone, da Sos Mediterranée e da Ocean Viking con la minaccia armata del pattugliatore italiano in dotazione alla Guardia Costiera Libica e il fin de non recevoir del Centro italiano di Roma dell’IMRCC che ha avuto l’ordine ministeriale di non rispondere all’allarme e alla denuncia dei volontari attivi per il salvataggio in mare.

Quel pattugliatore si chiama ora Fezzan ma quando era al servizio della Marina Militare italiana si chiamava Attilio Corrubia, un tenente della Guardia di Finanza medaglia d’oro ucciso dai nazisti non perché fosse italiano ma perché da antifascista non fece i nomi dei partigiani del proprio battaglione. Il pattugliatore Fezzan – a cui per fortuna è stato cambiato nome – ora insegue nel Mediterraneo i disperati in fuga dalla Libia sparando contro i soccorritori.

Il risultato “operativo di rimpatrio” è stata la deportazione di ottanta richiedenti asilo nel lager libici dove è noto che le persone che provengono dall’Africa sub-sahariana e che riescono a sopravvivere alla traversata del deserto vengono trattate dalle fazioni al potere in Libia peggio degli animali dato che per i libici gli animali sono utili alla loro agricoltura.

Al fondo di questi continui drammi vi è il contrasto tra due visioni contrapposte sulla valutazione delle ragioni dei flussi migratori che sono progressivamente cresciuti dal 2015 in poi usando tre rotte principali marittime nel Mediterraneo e terrestri nei Balcani. 

E’ bene sapere che la quota dei richiedenti asilo che giungono nell’Unione europea è infinitesimamente inferiore ai movimenti di popolazioni nell’Africa sub-sahariana all’interno dei paesi africani, fra paesi africani e verso paesi del Nord-Africa e che il numero dei rifugiati nel mondo a eccezione dell’Unione europea è molto superiore a chi ha ottenuto l’asilo in sei-sette paesi europei dato che gli altri venti-ventuno si sono fino a ora rifiutati di rispettare l’art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in cui si stabilisce il principio della solidarietà che Jean-Claude Juncker definì sbadatamente “volontario” e non – come dovrebbe essere – giuridicamente vincolante.

La prima visione è quella – ancora sbandierata dal ministro degli interni Matteo Piantedosi dopo gli ultimi sbarchi a Lampedusa – del cosiddetto pull factor e cioè il fattore di attrazione secondo cui chi arriva nell’Unione europea via terra o via mare viene attratto da politiche eccessivamente ospitali, dall’azione di salvataggio in mare delle organizzazioni non governative e dal criminale sfruttamento degli scafisti e di chi organizza principalmente dalla Turchia, dalla Libia, dalla Tunisia e dal Marocco la tratta degli esseri umani che provengono o dall’Africa sub-sahariana o dall’Afghanistan, dalla Siria, dal Pakistan, dalla Siria, dallo Yemen e dal Sudan.

Secondo il citato documento politico della Commissione europea il «lavoro di rimpatrio si è evoluto notevolmente negli ultimi anni» perché sarebbero in vigore 24 accordi e intese di riammissione dell’Unione europea con paesi terzi «dove alcuni funzionano bene ma altri devono essere attuati più rapidamente». 

La seconda visione – che il Movimento europeo ha ampiamente sviluppato in tutti i suoi documenti sulle politiche migratorie e da ultimo nella dichiarazione del 13 marzo 2023 per una nuova politica migratoria europea che è stata ripresa dal presidente Sergio Mattarella, dalla Fondazione Migrantes e dalle oltre cento organizzazioni della società civile che si sono associate all’iniziativa del Movimento europeo – è quella del push factor e cioè dal fattore di spinta che spinge chi emigra ad abbandonare il proprio paese per fuggire dalla fame e dalla rarefazione del cibo e dell’acqua, dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri ambientali e dalla espropriazione delle terre.

Per affrontare e dare una soluzione al push factor la strada non è quella dell’Europa dei muri (che il Consiglio europeo ha chiamato ipocritamente «delle infrastrutture») e dei rimpatri soprattutto se essi avvengono verso paesi dove la dignità umana è disprezzata e calpestata ma è quella di eliminare le cause delle spinte all’immigrazione 

  • ponendo sotto uno stretto controllo europeo la vendita delle armi a paesi terzi, 
  • combattendo la rarefazione del cibo e dell’acqua insieme a una sua più equa distribuzione (perché talvolta – come scrive Amartja Sen – il problema sta in una sua iniqua distribuzione),
  • applicando alla cooperazione allo sviluppo e agli aiuti alimentari la condizionalità del rispetto dei  diritti fondamentali, 
  • sanzionando le imprese multinazionali che impongono l’espropriazione delle terre e che sono co-responsabili dei disastri ambientali, 
  • rinunciando a imporre ai paesi africani politiche di produzione agricola per aiutare le nostre fonti di energia come il biofuel anziché il cibo per chi vive in quei paesi. 

A valle di queste politiche e per frenare i push factor, l’Unione europea dovrebbe preparare un programma di sviluppo dell’Africa secondo la stessa logica non predatoria e non neo-colonizzatrice di quello che fu immaginato da Enrico Mattei come la formula della “Africa per l’Africa” perché il suo obiettivo era quello di «sviluppare le risorse dell’Africa affinché il continente possa crescere».

In questa logica, che deve essere collegata all’idea di sviluppare una politica migratoria verso l’Europa nell’interesse dell’economia europea e di una società in calo demografico che invecchia, i movimenti europei in Italia, Francia, Spagna e Polonia hanno proposto al governo spagnolo di Pedro Sanchez di convocare durante il suo semestre di presidenza una “Conferenza sul futuro della politica migratoria europea” secondo il modello di democrazia rappresentativa, partecipativa, paritaria e di prossimità che ha caratterizzato la Conferenza sul futuro dell’Europa.

È questa la strada per affrontare con un approccio olistico e costruttivo il tema del governo dei flussi migratori che sarà certamente al centro delle decime elezioni europee nella primavera del 2024. 

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