Nelle stanze chiuse del Parlamento europeo a Bruxelles e Strasburgo e in grande segretezza sei deputati europei – dalla estrema destra euroscettica del gruppo dei conservatori in cui siedono i polacchi ipernazionalisti del PiS e Fratelli d’Italia fino alla Linke tedesca passando per i popolari, i socialdemocratici, i liberali e verdi – stanno preparando una lunga lista di proposte per dare seguito alle raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Queste raccomandazioni sono ben conservate negli archivi delle istituzioni europee da ormai quasi un anno e il Consiglio e la Commissione hanno emesso il loro verdetto sottolineando che la maggioranza di queste raccomandazioni fa già parte delle politiche in atto dell’Unione europea e che quindi le richieste di ottocento cittadine e cittadini europei estratti a sorte sono state esaudite.
Dicono nei corridoi del Parlamento europeo che il testo di compromesso – in cui dovrebbe tradursi l’accordo fra ipernazionalisti ed europeisti, fra liberisti e progressisti, fra contestatori del diritto europeo e difensori dello stato di diritto – raggiungerà oltre duecento cinquanta pagine. A esse bisognerà aggiungere i pareri delle commissioni per parere che si possono leggere, commissione per commissione, sul sito del Parlamento europeo e che pubblichiamo anche sul nostro sito.
Non sarà semplice usare un mosaico talvolta contraddittorio di proposte come uno strumento comprensibile di informazione e comunicazione durante la campagna per le elezioni europee nel maggio o giugno 2024 e bisognerà vedere se i partiti europei, divisi fra di loro ma anche al loro interno, ne faranno un tema centrale dei loro programmi elettorali.
Dicono anche che, per accelerare i tempi, non ci sarà un dibattito preliminare su questo “librone” nella commissione per gli affari costituzionali come la logica parlamentare vorrebbe ma si passerebbe direttamente alla procedura degli emendamenti e alla ricerca di un compromesso sul compromesso perché la commissione affari costituzionali ha fretta di portare a compimento un lavoro avviato un anno fa. Difficile pensare tuttavia che il librone possa essere sottoposto al voto dell’aula prima del prossimo mese di luglio e ciò nella migliore delle ipotesi di calendario.
Se passerà al vaglio dell’aula il librone, e dunque il compromesso sul compromesso del compromesso, sarà inviato agli ambasciatori presso l’Unione europea e poi al Consiglio sotto presidenza spagnola che, come sappiamo, non sono lì in trepida attesa dell’esito del lavoro parlamentare.
Secondo il Trattato di Lisbona e cioè secondo l’articolo 48 inserito dai governi per mantenere intatto il controllo finale sulle modifiche dei trattati («we are the owners of the Treaties» scrisse il Consiglio europeo alla vigilia della Conferenza sul futuro dell’Europa affinché fosse chiaro anche al Parlamento europeo, che aveva sommessamente rivendicato la sua leadership evitando di usare la scandalosa espressione «potere costituente», a chi spettava il potere di revisionare i testi intergovernativi) il Consiglio si dovrebbe limitare a inviare il librone al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel affinché egli chieda una decisione a maggioranza dei capi di Stato o di governo molto probabilmente nel vertice europeo di metà dicembre.
Difficile immaginare che gli ambasciatori e poi i ministri non vorranno esaminare nei dettagli il contenuto del librone ma essi dovranno poi inviarlo tel quel al Consiglio europeo senza emendamenti e senza voto a meno che, sempre in base all’art. 48, si realizzi l’ipotesi remota che uno o più governi e/o la Commissione europea non vogliano aggiungere alle proposte di emendamenti ai trattati del Parlamento europeo delle loro proposte.
Il governo austriaco aveva annunciato la sua intenzione di proporre che alcune competenze attribuite dal Trattato di Lisbona all’Unione europea vengano restituire agli Stati membri e non si può escludere che alcuni governi sovranisti decidano di rilanciare la proposta austriaca.
Dopo le ultime elezioni nazionali e in attesa di quelle polacche è aumentata nel Consiglio europeo la schiera dei capi di Stato o di governo che sono attualmente ostili all’idea di aprire il vaso di Pandora della revisione del Trattato di Lisbona entrato in vigore oltre tredici anni fa quando l’Europa e il mondo era molto diversi da quelli contemporanei.
Il Consiglio europeo potrebbe respingere a maggioranza semplice l’eventuale proposta del Parlamento europeo di convocare una convenzione ex art. 48 o scegliere la via di una procedura semplificata che prevede solo una conferenza intergovernativa ma per farlo il Consiglio europeo ha bisogno dell’approvazione del Parlamento europeo e il grottesco Trattato di Lisbona non dice cosa possa avvenire nel caso di una mancata approvazione parlamentare.
Anche i più convinti sostenitori di una parziale revisione del vetusto Trattato di Lisbona sono coscienti del fatto che, a pochi mesi dalle elezioni europee, sarà ben difficile che venga avviata una Convenzione che qualcuno considera avventatamente come il non plus ultra della democrazia europea.
Dopo le elezioni europee il Consiglio sarà gestito per un anno e mezzo dalle presidenze di Polonia, Ungheria e Danimarca i cui governi – se nel frattempo non cambieranno le maggioranze a Varsavia, Budapest e Copenaghen – non sono certo la culla del federalismo europeo.
Vedremo anche quale sarà la agenda strategica 2024-2029 che sarà adottata dal Consiglio europeo a giugno 2024 e che i capi di Stato o di governo considerano come una sorta di Bibbia per tutta l’Unione europea, chi sarà il nuovo presidente del Consiglio europeo, chi presiederà la Commissione europea e se il nuovo Parlamento europeo vorrà mantenere intonso il compromesso sul compromesso del compromesso che l’aula potrebbe aver adottato a luglio 2023.
Noi continuiamo a ritenere che la via da percorrere sia quella di una missione costituente del nuovo Parlamento europeo (e non di un “mandato” perché non c’è nessuna istituzione legittimata a dargli questo mandato salvo le cittadine e i cittadini sovrani che lo hanno eletto) per proporre un nuovo trattato-costituzionale da sottoporre a un dibattito con i parlamenti nazionali e non con i governi e poi a un referendum paneuropeo.
Dovrebbe essere questo a nostro avviso il messaggio forte che dovrebbe essere lanciato nella manifestazione di Strasburgo del 9 maggio 2023 chiedendo al Parlamento europeo di abbandonare il cammino tortuoso della Convenzione e avviare un processo costituente verso la trasformazione dell’Unione europea in una Comunità federale.