Con una accelerazione che conferma la capacità dell’Unione europea di reagire alle emergenze, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto il 20 aprile un accordo sulla proposta della Commissione europea di uno European Microchips Act che entrerà in vigore nel 2024 e cioè di un piano per rispondere alla dipendenza dell’industria europea nella produzione di componenti elettronici sui cui si impone attualmente l’egemonia della Cina e di Taiwan in un mercato mondiale che vale 450 miliardi di euro.
Lo stato di crisi nell’approvvigionamento dei microchip è apparso in tutta la sua evidenza durate la pandemia che ha colpito la produzione cinese e taiwanese anche a causa delle tensioni fra Pechino e Taipei senza contare gli effetti della guerra in Ucraina mettendo in gravi e crescenti difficoltà il settore manifatturiero nell’Unione europea che è la parte industriale più importante della nostra economia sapendo che la cosiddetta infosfera e cioè l’intelligenza artificiale permea tutta la nostra società dagli usi casalinghi, alla produzione industriale, dalla logistica alla difesa, dal marketing ai supercomputer per finire – last but not least – con la ricerca e con la salute.
In questo quadro si colloca il rapporto fra l’intelligenza artificiale e la tutela dei diritti per garantire la qualità, la trasparenza e la interoperabilità dei dati di cui la tecnologia della blockchain appare essenziale per favorire maggiore certezza nella raccolta dei dati rielaborati dai sistemi di intelligenza artificiale implementando la fiducia nei risultati prodotti dagli algoritmi.
È questo l’obiettivo della iniziativa avviata dal Movimento europeo insieme allo European Partners for Environment e all’Osservatorio Europeo sulla Blockchain con una prima tappa all’Università di Torino il prossimo 17 maggio nell’ambito del quinto Festival sullo sviluppo sostenibile organizzato da ASVIS dall’8 al 24 maggio in tutta Italia.
Per reagire all’emergenza la Commissione europea ha proposto un anno fa e il Consiglio insieme al Parlamento europeo al termine del tradizionale tri-dialogo hanno accettato di investire con lo European Microchips Act 49 miliardi di euro di cui 3.3 miliardi di euro dal bilancio europeo e 6.2 miliardi di fondi pubblici con l’obiettivo di passare dal 9 per cento della quota europea nel mercato mondiale al 20 per cento entro il 2030 e sapendo che gli Stati Uniti hanno deciso di investire 52,7 miliardi di dollari con il loro Chips and Science Act che comprende una parte sostanziosa di sgravi fiscali per la ricerca.
I tre pilastri dello European Microchips Act sono il Chips for Europe initiative che prevede la costruzione di laboratori e fabbriche per incrementare la produzione di microchips, la garanzia di forniture necessarie usando investimenti pubblici e privati e la collaborazione fra Stati membri.
All’investimento nella produzione di microchips si aggiunge la dimensione della ricerca avanzata per accelerare il livello delle conoscenze europee bloccate al livello della sperimentazione al fine di dare la priorità alla industrializzazione delle tecnologie europee. Beneficeranno delle risorse europee gli impianti europei per la produzione di microchips ma anche i loro fornitori nel quadro dello sviluppo della cooperazione fra l’Unione europea e gli Stati membri che comprenderà la costante verifica dello stato di approvvigionamento dei semiconduttori, del livello della domanda e dell’offerta anche per pianificare eventuali e nuove crisi.
Questa iniziativa della Commissione europea si accompagna alla maggiore flessibilità nell’applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato che interessa non solo la Francia e la Germania ma anche l’Italia che è partner della Francia nella StMicroelectronics all’avanguardia nella costruzione di nuovi impianti di microchips.
Vale la pena di sottolineare tre aspetti nell’accordo raggiunto a Strasburgo dopo il tri-dialogo fra il Consiglio e il Parlamento europeo con il ruolo attivo della Commissione europea e del commissario Thierry Breton: a. l’atto europeo si fonda sul partenariato pubblico/privato che è un metodo essenziale per garantire la competitività dell’infosfera europea; b. viene avviata una parte della politica industriale europea in un settore sensibile della nostra autonomia strategica; c. in una situazione di crisi si rafforza la “dimensione europea” delle nostre relazioni con Taiwan come è stato sottolineato da Le Monde dopo le improvvide dichiarazioni di Emmanuel Macron secondo cui «l’Unione europea dovrebbe evitare di farsi trascinare nelle controversie fra Pechino e Taipei».
Al di là dello European Microchips Act, tutto quello che ruota intorno al mondo che si adatta all’intelligenza artificiale, che ci conduce dall’internet delle cose (Internet of things o IOT) all’internet della interconnessione (Internet of everything) e che supera la dimensione territoriale, solleva la questione costituzionale dell’etica e del diritto in cui l’Unione europea è oggi all’avanguardia.
Essa lo è fin dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 con delle raccomandazioni alla Commissione europea concernenti norme di diritto civile nella robotica e le comunicazioni della Commissione europea nell’aprile e nel dicembre 2018 alle quali ha fatto seguito il rapporto del gruppo di esperti ad alto livello nell’aprile 2019 sugli “Orientamenti etici per una intelligenza artificiale affidabile” che individuano sette requisiti: intervento e sorveglianza umani, robustezza tecnica e sicurezza, riservatezza e governance dei dati, trasparenza, diversità, non discriminazione ed equità, benessere sociale e ambientale, accountability.
Come è stato scritto da Alessandro Paino nell’introduzione al rapporto pubblicato da ASTRID su “Intelligenza artificiale e diritto: una rivoluzione?”, l’approccio dell’Unione europea «tende a distinguersi da quello americano caratterizzato dal ruolo determinante dei grandi players del mercato digitale (BIG TECH) e da quello cinese, caratterizzato dalla straordinaria capacità di profilazione di un sistema autocratico (BIG STATE), contrapponendo a essi una cultura da BIG DEMOCRACY, fondata sulla capacità regolatoria propria dell’Unione europea, caratterizzata dalla progressiva trasformazione dei principi etici condivisi in strumenti normativi, idonei a garantire un livello significativo di equilibrio tra il rispetto dei diritti fondamentali e le esigenze della ricerca scientifica e tecnologica».